“Oggi arrivare ai mandanti è possibile”. Lo si leggerà nei prossimi giorni sui muri di Bologna, all’interno degli spazi autorizzati per l’affissione dei manifesti che ricordano il 33esimo anniversario della strage alla stazione del 2 agosto 1980 che fece 85 morti e 200 feriti. A sostenerlo è l’associazione tra i familiari delle vittime che, in vista dell’ormai tradizionale commemorazione in piazza delle Medaglie d’Oro, aggiunge che “la verità è a portata di mano”. E che altrettanto a portata di mano sarebbe dunque quel pezzo di verità giudiziaria sempre mancato ai processi celebratisi nel corso del tempo. A farlo ritenere sono vari elementi, molti qui quali già al vaglio della magistratura bolognese. 

La seconda assoluzione di Christa Fröhlich
Non ha fatto parte del gruppo il terrorista Carlos. La prima novità è questa e giunge dalla Francia, dove nei giorni scorsi si è concluso il processo d’appello al venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, conosciuto con il soprannome che richiama il protagonista di un romanzo di Frederick Forsyth, condannato per la seconda volta all’ergastolo per quattro attentati commessi tra il 1982 e il 1983 a Parigi (in rue Marbeuf), sul treno che dalla capitale viaggiava verso Tolosa, alla stazione marsigliese di Saint-Charles à Marseille e sul convoglio ad alta velocità Marsiglia-Parigi. Con lui era imputata anche la oggi settantenne tedesca Margot Christa Fröhlich, accusata di avere collaborato con Carlos e con il suo gruppo. Ma per lei, come già in primo grado aveva stabilito il tribunale francese, è giunta una nuova assoluzione.

Questo nuovo verdetto potrebbe costituire un elemento utile al fascicolo su cui sta lavorando la procura di Bologna, che a inizio dell’estate 2011 aveva iscritto la donna, ex estremista di sinistra, nel registro degli indagati con l’accusa di aver partecipato alla strage del 2 agosto 1980. Oltre a lei, nel mirino degli inquirenti emiliani era finito anche un altro militante tedesco, Thomas Kram, entrambi ritenuti vicini al terrorista venezuelano Più nello specifico l’ambito è quello della cosiddetta pista mediorientale, quella che avrebbe trovato ragione dell’attentato di Bologna in una ritorsione per la violazione del lodo Moro, l’accordo tacito in base al quale i palestinesi avrebbero potuto condurre nella penisola le loro attività di liberazione senza arrecare danni a cittadini italiani. Ma il tutto, se calato in un possibile ruolo avuto da Carlos, con cui secondo alcune ricostruzioni i due tedeschi si sarebbero incontrati nei giorni successivi alla strage trovandosi a Berlino, troverebbe una base più fragile dopo la seconda assoluzione francese di Fröhlich.

I memoriali dell’associazione vittime
Sono due e sono stati depositati in procura tra il 2011 e il 2012. In totale si tratta di centinaia di pagine (quasi 900 se si considerano entrambi i testi) e la loro stesura è stata curata dal team legale che assiste l’associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione. Il frutto di quel lavoro, a cui non è escluso ne seguano altri, si basa sull’analisi di molteplici processi: non solo quello per la bomba del 2 agosto 1980, giunto a sentenza definitiva nel 1995 con la condanna degli ex neofascisti dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari) Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini per l’attentato, e di ufficiali del Sismi (il generale Pietro Musumeci e colonnello Giovanni Belmonte), oltre a Licio Gelli e a Francesco Pazienza, per i depistaggi. 

I procedimenti presi in considerazione dell’associazione vittime hanno compreso percorsi che partono dalla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 fino alle bombe del 1993 passando per gli atti depositati per processi come l’omicidio del presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980) e per i tentati colpi di Stato degli anni Settanta (dal golpe Borghese del 1970 a eventi successivi, come quelli di Edgardo Sogno e della Rosa di Venti). Il tutto compreso poi da documenti che riguardano Gladio, i Nuclei di difesa dello Stato e le basi siciliane che a propria volta di legano a delitti eccellenti, come l’omicidio di Mauro Rostagno (26 settembre 1988) e del sottufficiale del Sismi Vincenzo Licausi (12 novembre 1993).

Uno sforzo monumentale, su cui il pubblico ministero della procura di Bologna Enrico Cieri, sta ancora lavorando e che indica una linea di collegamento tra tutti questi fatti, solo in parte già messi in relazione nell’inchiesta e poi nel processo ter per la strage bresciana di Piazza della Loggia (28 maggio 1974). Relazioni che chiamano in causa, secondo uno schema “classico” della strategia della tensione, le basi atlantiche del nord est, frequentate dai vertici del disciolto (nel 1973) movimento neofascista Ordine Nuovo. Sul cui ruolo, dopo le assoluzioni di alcuni dei suoi leader nei precedenti procedimenti, si invita la magistratura a indagare di nuovo perché qui potrebbe esserci il filo che conduce più su, a chi gestì l’ordine politico per l’attuazione delle stragi e poi, in crescendo, fino a chi diede l’ordine di uccidere 85 persone.

I depistaggi preparati con 5 mesi d’anticipo
Altro elemento su cui punta l’associazione è quello dei depistaggi. Che sono diversi, in parte inediti secondo i parenti delle vittime, rispetto a quelli che hanno già portato a precedenti condanne. In base all’analisi effettuata, infatti, alcuni di questi depistaggi furono preparati mesi prima della strage. Secondo loro, si deve tornare indietro di almeno 5 mesi, al marzo 1980, quando all’interno del Sismi, ai tempi diretto dal generale piduista Giuseppe Santovito, venne preparato un piano per gettare fumo negli occhi agli inquirenti. Era quello che chiamava in causa l’ordinovista Marco Affatigato, a cui una telefonata di rivendicazione dei Nar avvenuta 35 giorni prima della strage alla stazione già attribuiva la responsabilità (risultata falsa) di un’altra strage, quella di Ustica, verificatasi il 27 giugno 1980 sul Dc9 Itigi dell’Italia in volo da Bologna a Palermo.

In base all’ipotesi presentata da Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione vittime e deputato, la prima rivendicazione fu un errore e fu ripetuta il 2 agosto 1980 “perché c’era chi negli apparati dello Stato sapeva che qualcosa si andava preparando a Bologna e forse commise un errore”. Ipotesi, questa, che troverebbe conferma nelle parole di un ex ordinovista che, sentito per la strage di piazza di Loggia, disse di aver saputo da un suo camerata che della preparazione dell’attentato alla stazione, nell’inverno 1980, era stato messo a conoscenza in confessione un sacerdote, don Mario Bisaglia, parroco di Rovigo. 

Fratello del più noto ministro Antonio, che ne sarebbe stato informato pur senza violare i termini del sacramento, venne ucciso nell’agosto 1992 e gettato in un lago del Cadore, vicino a Dolmegge, nel Bellunese. Se quel delitto a tutt’oggi irrisolto è stato archiviato perché opera di ignoti, secondo l’associazione vittime di Bologna potrebbe essere riletto: il religioso sarebbe stato zittito nel momento in cui, annullate nel 1992 le assoluzioni in appello per gli imputati della strage del 1980 (il processo di secondo grado si doveva rifare, sentenziò la Cassazione), avrebbe avuto intenzione di chiedere la dispensa papale dal vincolo della confessione. E Giovanni Paolo II, nel periodo della morte di don Bisaglia, proprio in quella zona si trovava.

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