La dolce vita piace a Bernard Arnault. Al punto che dopo aver investito 4,3 miliardi nella preziosa acquisizione di Bulgari, l’uomo più ricco di Francia, proprietario del gigante del lusso Lvmh, ha deciso di comprare la storica pasticceria milanese Cova portando all’interno del proprio gruppo un marchio con duecento anni di storia alle spalle. E sfilando così l’affare a Prada, sulla falsariga di quanto accadde in passato per Fendi.

Lvmh ha infatti raggiunto un accordo per il pacchetto di maggioranza della Cova Montenapoleone srl che gestisce la nota pasticceria milanese nella via più chic del capoluogo lombardo. L’operazione, conclusa dopo il fallimento della trattativa con Prada, prevede che la famiglia Faccioli, con Paola e Daniela, continui a far parte del capitale e del management “per garantire la continuità ed il successo che Cova ha saputo conquistare nel corso di quasi 200 anni”.

L’obiettivo dell’intesa, come nei termini del primo accordo stretto per Fendi, è sostanzialmente “preservare questa vera e propria istituzione della storia milanese, mantenendo negli attuali spazi la Pasticceria di Via Montenapoleone, e di sostenere con forza il suo sviluppo a livello internazionale, grazie alle sinergie messe a disposizione dal gruppo Lvmh”. Un accordo, insomma, vincente per tutti.

A patto che gli equilibri degli assetti azionari restino gli stessi. E non evolvano come nel caso di Fendi, dove Lvmh, dopo un ingresso in sordina, ha poi conquistato della totalità del capitale comprando le quote di Prada e della famiglia capitolina che si è ritagliata solo un ruolo creativo con la stilista Silvia Venturini Fendi. Insomma, il rischio che Cova, nata a Milano nel 1817, diventi più francese che italiana c’è. Anche se non sulla carta.

Del resto a Parigi sanno bene che Arnault ama seguire da vicino le società del gruppo Lvmh con l’aiuto dei propri manager. Per sistemare la maison Fendi ad esempio, inviò nel 2003 a Roma, Micheal Burke, già artefice del rilancio di Dior e della stessa Louis Vuitton e, dopo l’acquisizione di Bulgari, passato ai vertici del gruppo della gioielleria. Ciò che accade Oltralpe del resto dovrebbe dare qualche indizio di come Arnault ami gestire le proprie attività: nella Ville Lumiere, Lvmh è al centro di una guerra per sfilare il marchio Hermès dalle mani della famiglia fondatrice Dumas che vorrebbe una gestione indipendente dall’ingombrante socio Arnault.

Uno scontro con continui colpi di scena, l’ultimo dei quali ha visto la presentazione di un esposto da parte del management di Hermès al Tribunale del Commercio di Parigi per ottenere l’annullamento degli strumenti finanziari (equity swap) che hanno permesso a Lvmh di conquistare il 17% di Hermès sfuggendo agli obblighi di comunicazione alla Consob francese e perpetrando così quella che una nota della società definisce “la più grande frode della storia del mercato azionario francese”.

Dalle nostre parti invece il copione è diverso e portare a casa la vittoria è spesso solo questione di tempo. Nel lusso e non solo, come insegnano altri casi di cessione di business italiani ai cugini di Francia: da Parmalat ad Edison passando per Bnl, Cariparma, Friuladria, Findomestic.

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