lucciole per lanterne Quest’anno, insieme al bellissimo film cileno “No, i giorni dell’arcobaleno” del regista Pablo Larrain – sulla decisiva campagna televisiva per il ‘No’ nel referendum del 1988 contro la dittatura di Pinochet – è uscito, sempre sul Cile, un importante documentario italiano, Lucciole per lanterne, di Stefano e Mario Martone, prodotto da Vitaliana Curigliano per Audioimage. Un documentario politico che non rinuncia alla poesia delle immagini per raccontare le storie, i volti e le speranze della nuova (r)esistenza cilena. La difesa dell’acqua in quanto bene comune, la salvaguardia del patrimonio ambientale, le scelte in materia energetica, sono battaglie che ci fanno riflettere sul modello unico di sviluppo di un sistema capitalistico sempre più spietato. “Lucciole per lanterne” è assolutamente da vedere, anche perché la lotta cilena ci riguarda da vicino, come ha sottolineato il regista Stefano Martone.

Perché “Lucciole per lanterne”?

Il titolo del documentario fa riferimento alla frase finale del noto articolo sulla scomparsa delle lucciole di Pier Paolo Pasolini, che nel 1975 scriveva: “io, ancorché multinazionale, darei l’intera Montedison per una lucciola”. La scomparsa delle lucciole simboleggia il crescente degrado ambientale ma anche lo strapotere delle multinazionali rispetto agli stati nazionali, sempre più asserviti agli interessi dei grandi gruppi economici. Sempre pasoliniana è l’analisi critica dei termini “sviluppo” e “progresso”, riflessione che ci ha accompagnato durante la fase di progettazione del documentario.

Nel 1972 Salvator Allende, nel suo lucido discorso alle Nazioni Unite, sosteneva che “l’intera struttura politica del mondo” stava per essere sconvolta e che era in atto un “vero scontro frontale” tra gli stati e i poteri economici transnazionali.

Nel nostro documentario i richiami sia a Pasolini che ad Allende sono espliciti.Il Cile che raccontiamo nel documentario è un paese in cui la costituzione è sostanzialmente immutata dai tempi della dittatura militare di Pinochet, e che rappresenta in America Latina il caso più eclatante ed evoluto del modello neoliberista di Milton Friedman. L’analisi di Pasolini e il grido di allarme di Allende sembrano rimbombare più forte che mai nel Cile attuale e nei grandi spazi della Patagonia.

Come è nata l’idea del documentario?

Abbiamo cominciato a progettare il documentario nell’estate del 2010. In Italia si stava preparando il referendum sull’acqua pubblica: un anno dopo la maggioranza del paese avrebbe sancito il diritto inalienabile all’acqua come bene pubblico.

Due anni prima, nel 2008, Enel, che è tuttora al 31% industria di stato, comprando la compagnia energetica spagnola Endesa, era di fatto divenuta proprietaria del 96% dell’acqua della Patagonia cilena, una delle maggiori riserve d’acqua dolce del pianeta. Nel 1981, con il Codigo de Aguas, Pinochet aveva infatti avviato la completa privatizzazione delle risorse idriche del paese.Grazie al regalo ricevuto in eredità dalla dittatura militare, Enel è subentrata nel progetto di costruzione di 5 grandi dighe nella Patagonia cilena. 

Ci siamo resi conto dell’enorme contraddizione in cui ci troviamo. Un paese in cui la popolazione si esprime con convinzione contro la privatizzazione dell’acqua è proprietario, attraverso Enel, dell’acqua di un altro paese, distante migliaia di chilometri e si assume la responsabilità di compromettere un ecosistema unico e dall’inestimabile valore, non solo simbolico, come la Patagonia. E’ questo che ci ha fatto sentire autorizzati, come italiani, a girare un film in una terra così lontana.

L’ultimo libro dello scrittore Walter Siti si intitola, Resistere non serve a niente, e la fine del documentario sembra dargli ragione. 

Non sono del tutto d’accordo. Nel documentario c’è certamente una vena pessimista, che deriva dall’analisi delle forze in campo. Ad enormi poteri economici si contrappongono movimenti di cittadini sostanzialmente autorganizzati.

Ma tutto il film è, dal nostro punto di vista, incentrato sull’assoluta necessità dell’esistenza di quelle che lo scrittore John Berger chiamerebbe “sacche di resistenza”. La resistenza in alcuni casi è una scelta imprescindibile indipendentemente dal risultato che può ottenere.

Un’ultima considerazione: Lucciole per lanterne si chiude con una citazione di Arundhati Roy tutt’altro che pessimista: “Se c’è qualche speranza per il mondo {…} si trova in basso, rasoterra, abbracciata alle persone che danno battaglia ogni giorno per proteggere le loro foreste, montagne e fiumi perché sanno che le foreste, le montagne e i fiumi proteggono loro”

Oggi a che punto sta la lotta? Ci sono speranze?

La valutazione d’impatto ambientale, orchestrata dal consorzio HidroAysén, ha dato un esito positivo: le dighe potranno essere costruite.

Ma la costruzione delle dighe sarebbe dovuta cominciare già nel 2013. Il fatto che sia tutto fermo è già un ottimo risultato. Bisogna poi tenere presente che non è ancora stato approvata la costruzione dell’elettrodotto, che dovrebbe portare l’energia dalla Patagonia alle grandi miniere del nord del Cile. L’elettrodotto lungo 2300 km, dovrebbe attraversare aree sismiche, vulcaniche, parchi naturali, regioni indigene. E’ un abominio che susciterà proteste ancor maggiori che per le dighe, coinvolgendo l’intero paese. E’ proprio per questo che non è ancora stato approvato. La strategia del consorzio italo-cileno è chiara. Una volta costruita la pila non potrete evitare che stendiamo il filo elettrico.

Ad ogni modo il ruolo dell’opinione pubblica internazionale, se riuscirà ad essere sensibilizzata, sarà fondamentale per l’opposizione al progetto. La Patagonia d’altronde è un patrimonio mondiale. Gli italiani, coinvolti direttamente nel progetto, dovrebbero essere i primi a mobilitarsi.

Credi sarà possibile abolire le privatizzazioni di Pinochet?

E’ una domanda a cui non è facile rispondere. Anche sotto il governo socialista della Bachelet, la costituzione è restata sostanzialmente immutata. Il fatto che sia lei la candidata alternativa a Pinera nelle prossime elezioni politiche, non lascia spazio all’ottimismo. E’ anche vero che la mobilitazione degli studenti cileni contro il modello privatistico dell’istruzione ha suscitato un entusiasmo cui non si assisteva da molto tempo. Torno a citare la Roy: la speranza si trova in basso, rasoterra…

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