Cosa è stato della spending review? Che fine ha fatto il taglio delle Province? L’Italia è davvero alle prese con un piano di austerity? A queste tre domande risponde Eurostat , istituto di statistica dell’Unione Europea, che ha evidenziato come l’austerity non sia stata affatto “italiana” nell’ultimo triennio. In Italia, a fronte di una crescita nulla del prodotto interno lordo (pari allo 0,9 per cento in tre anni), la spesa pubblica è cresciuta di più: 1,3 per cento tra il 2010 e il 2012.

Andando a confrontare la spesa pubblica sul Pil, che indica quale sia l’incidenza dello Stato nell’economia, si evidenzia che il rapporto è in crescita. Si è passati dal 50,4 per cento del 2010 al 50,6 per cento del 2012. La spesa pubblica dunque è continuamente crescente, nonostante gli annunci fatti dalla maggior parte dei commentatori e politici. Certo una parte della nuova spesa pubblica è dovuta al crescente costo degli interessi per ripagare il debito. Il temuto “spread” ha indicato indirettamente una crescita delle spese per gli interessi sul debito. Ma è facile comprendere che è una scelta totalmente politica quella di avere un debito elevato, ormai al 127 per cento del Pil o pari 2.047 miliardi di euro.

Quasi34 mila euro a persona, neonati compresi. Avere un debito elevato significa farlo ricadere sulle generazioni future. Una scelta politica contro le generazioni future. Ma un dato che dovrebbe fare spaventare ancora di più è la pesantezza della spesa pubblica sull’economia in generale. Il dato di Eurostat indica che il 50,6 per cento di quanto prodotto in Italia viene speso dallo Stato. Sono circa 800 miliardi di euro l’anno. Il “problema” è che il dato del Pil conteggia anche l’economia in nero.

Quindi per avere un confronto reale tra spesa pubblica e Prodotto interno lordo è necessario depurare il dato. Al netto dell’economia in nero, stimata in un prudenziale 18 per cento, lo Stato spende circa il 60 per cento di quanto prodotto nell’economia italiana e dalle sue famiglie. La spesa pubblica “reale” ha raggiunto dunque nel 2012 l’incredibile cifra del 59,7 per cento del prodotto interno lordo.

La spending review avrebbe dovuto abbassare questa cifra. Così non è stato anche se si è visto qualche piccolo risultato. Ad esempio le “auto blu” sono diminuite del 27 per cento, ma è da ricordare che tali “riforme” non sono quelle che cambiano il bilancio dello Stato. Così come non cambiano il bilancio dello Stato il dimezzamento dei parlamentari. Non che una riforma in questo senso non sia necessaria, ma bisogno essere chiari: i grandi sprechi sono altrove.

Un esempio fra tutti. Il taglio delle Province, la cui eliminazione totale porterebbe a due miliardi di euro di risparmio all’anno, è sparito e nessuno sa, nemmeno le amministrazioni locali, che fine faranno questi Enti. E ancora, il trasporto pubblico locale costa il doppio della Svezia, le municipalizzate sono il “cimitero degli elefanti” di politici trombati e nessuno pensa di adeguare al sistema contributivo tutto il sistema pensionistico. Un’incapacità, quella dei governanti italiani, di andare ad intaccare la burocrazia e gli sprechi che affliggono l’economia italiana. Un’incapacità che ci ha portato sull’orlo del fallimento.

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