Il viceministro Catricalà ha ricordato che a maggio 2016 scadrà la convenzione tra la Rai e lo Stato e ha deciso di fare una consultazione pubblica non soltanto con chi lavora nel sistema, ma anche con le associazioni dei consumatori e la società civile. Questa, se non nasconde il fine dell’asta pubblica per assegnare la concessione, è una buona notizia. La Rai ha molto da lavorare se vuole recuperare gli anni perduti a inseguire la tv commerciale. Il duo Tarantola-Gubitosi ha cambiato passo rispetto al passato sul piano dell’innovazione tecnologica, della digitalizzazione dei tg, ha posto maggior attenzione al web, mentre gli interventi editoriali sono stati molto lacunosi, lo hanno denunciato i consiglieri Colombo e Tobagi, con il voto contrario ai palinsesti autunnali perché “non corrispondenti alle intenzioni”, e per aver affidato il compito di ottimizzarli alle stesse persone che avevano prodotto i palinsesti da innovare. Tutto ciò è spiegabile solo con la vecchia logica partitocratica che impedisce di lavorare nonostante le buone intenzioni. Il rilancio della Rai come servizio pubblico passa attraverso la qualità dei programmi e la professionalità di chi li realizza. Che fine hanno fatto le promesse di creare corsi di aggiornamento per i lavoratori? La crisi economica dell’azienda non aiuta: la pubblicità è passata da oltre il miliardo di euro del 2010 ai circa 700 milioni del 2013 (valore stimato da Rai Pubblicità).

La Rai ha bisogno di interventi strutturali e non solo di tagli lineari (budget delle reti e personale), ad esempio creare una vera tv regionale come richiesto dall’Europa. Siamo certi che le 23 sedi regionali siano usate al meglio? Il personale che ci lavora (compreso quello a tempo determinato) è di circa 1.600 unità (800 giornalisti, 300 impiegati, 550 tecnici). La produzione regionale comprende: 3 edizioni del tg, 2 del radio giornale, le trasmissioni del mattino “Buongiorno regione” e “Buongiorno Italia”, 6 rubriche settimanali, oltre ai contributi ai tg nazionali. Ogni giornalista produce in media solo 2/3 minuti di informazione al giorno. Alcune sedi non hanno operatori e sono costrette a utilizzare solo troupe in appalto con un costo di un milione di euro all’anno. Nell’era del digitale e di Internet è ancora sostenibile avere 26 edizioni di tg nazionali al giorno più Tg Economia e Tg Parlamento oltre Rai News che trasmette 24 ore su 24, con un costo complessivo che supera i 200 milioni annui? Il lavoro da fare non mancherebbe e la volontà?

il Fatto Quotidiano, 26 Giugno 2013

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