Nei giorni scorsi si è concluso il percorso partecipativo sul PSC (il “piano strategico comunale”, evoluzione del vecchio Piano Regolatore) , chiamato 100 per Modena.

Quello dei 100 per Modena, non è che l’ ultimo “esperimento” partecipativo nella nostra città.

Ricordiamo i percorsi partecipativi nelle circoscrizioni che a poco hanno portato se non dare visibilità all’assessore alla partecipazione del tempo.

Poi ricordiamo i laboratori di Città media felix di cui si sono perse le tracce.

E poi quelli sulle fonderie conclusi con un’ottima proposta, ma forse non gradita e per questo dimenticata.

E come non ricordare gli “stati generali”, un titolo impegnativo per definire una montagna che non ha partorito neanche un topolino 

I risultati dei 100 per Modena sono stati importanti e di notevole rilievo perché hanno riportato all’attenzione la maggior parte delle proposte portate avanti da diversi comitati nel corso di questi anni. Purtroppo, nelle occasioni precedenti, l’amministrazione aveva snobbato tali richieste, definendole talebane, come talebani erano i loro sostenitori.

Ed ora cosa accadrà?

Cosa farà il nuovo assessore alla mobilità dopo che proprio il tema della mobilità sostenibile è risultato una priorità? Ricordiamo che è quello stesso assessore che nelle diverse occasioni in cui tale tema è stato affrontato, ha dimostrato un sostanziale disinteresse, occupandosi con maggior impegno sul tema di quante abitazioni costruire nel futuro. E’ anche lo stesso che ha ceduto l’ufficio biciclette all’assessorato all’ambiente ritenendolo più congruo.

E poi cosa farà il nuovo assessore all’urbanistica (che è poi lo stesso della mobilità) riguardo a quelle aree dove i 100 cittadini hanno chiesto di non costruire?

La partecipazione è un’arma a doppio taglio per le amministrazioni; purtroppo per alcuni, è finito il tempo in cui questi processi si potevano guidare verso risultati già definiti.

Il dibattito su democrazia rappresentativa e quella partecipativa è quanto mai attuale; da una parte c’è chi sostiene che chi vince, ha il dovere di governare presentandosi poi alle successive elezioni per essere giudicato; dall’altra c’è chi sostiene che la complessità della società e quella delle decisioni da intraprendere sono tali da richiedere un necessario coinvolgimento dei cittadini per poter aver buon esito.

Il tema, dicevamo, è diventato quanto mai attuale, alla luce degli ultimi dati elettorali; se il 50% dei cittadini non vota e se chi vince lo fa con maggioranze risicate dei votanti, chi rappresenta? Un cittadino su quattro è una base sufficiente per poter governare senza problemi una città, al di là dei numeri del consiglio comunale? Forse no. Basti vedere cosa sta succedendo in Turchia dove un leader eletto con il 60% dei voti, fa fatica a tenere in mano la situazione.

Per tornare ai fatti di casa, occorre ricordare che i processi partecipativi messi in atto dalle amministrazioni devono partire con un impegno ben preciso: far sì che i risultati trovino una piena attuazione, salvo le parti che per legge o altri vincoli non potranno essere portate a termine.

Altrimenti la partecipazione si rivela un puro esercizio accademico che oltre a non fruttare risultati, demotiva i partecipanti diretti ed indiretti, creando ulteriore delusione e sfiducia verso le pubbliche amministrazioni.

E di questo,  non ce ne è proprio bisogno

Giorgio Gaber cantava: “La libertà non è star sopra ad un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione…..“.

Vero più che mai.

 

Di Franco Fondriest

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