La storia di Ahmed, afghano di 22 anni che per dormire deve entrare abusivamente sotto un tendone nella periferia Roma, o quella di N., una donna pakistana di 34 anni costretta a dormire per strada a Gorizia, senza nemmeno i soldi per mangiare, sono la fotografia di come l’Italia accoglie i richiedenti asilo. Quelle persone che entrano nel nostro paese per sfuggire a una persecuzione (come da art 14 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo), ma che non hanno ancora lo status giuridico di rifugiato. Una fotografia con molte ombre e poche luci quella dell’Italia in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, che dal 2001 è celebrata ogni 20 giugno con il patrocinio delle Nazioni Unite. “Perché il sistema di accoglienza italiano è al collasso”, racconta a ilfattoquotidiano.it Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i Rifugiati (Cir).

Secondo i dati pubblicati ieri dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) la diaspora conta nel 2012 ben 45,2 milioni di persone fuggite da fame, miseria, disastri naturali, guerra o epidemie, di cui 15 milioni di rifugiati. Di questi in Italia non ne arrivano molti: le presenze di rifugiati riconosciuti sul terriotrio italiano sono appena 64mila contro i 600mila della Germania o i 220mila della Francia. E nell’ultimo anno in Italia sono state 17mila le richieste asilo. Eppure, il paese non è attrezzato ad accoglierli. “Quello che sta succedendo in Italia è una gravissima violazione dei diritti di accoglienza – continua Hein -. La legge è chiara: prevede che ogni richiedente asilo che arriva in Italia senza adeguati mezzi di sostentamento ha diritto a forme materiali di accoglienza sin dal momento in cui presenta domanda di protezione. E’ grave che persone che hanno diritti riconosciuti passino mesi per strada”.

Prima del passaggio negli Sprar, i circa 3700 centri di accoglienza finalizzati all’inserimento sparsi per la penisola, spesso i richiedenti asilo sono costretti a passare dai Cara, dove la permanenza in teoria non dovrebbe superare i 35 giorni. Ma nella prassi molte persone rimangono anche più di un anno in questi complessi allestiti in strutture dedicate ad altre funzioni: da ex edifici industriali a ex aree militari, attrezzati con container e prefabbricati. E siccome anche lì non c’è posto, ecco che finiscono in strada, senza che le autorità competenti li informino dei loro diritti. Come nei recenti casi di Ahmed e di N., che solo dopo un’odissea indegna di un paese civile hanno visto i loro diritti tutelati.

Ahmed fa richiesta d’asilo alla Questura di Roma il 30 aprile scorso. Da quel preciso momento avrebbe diritto all’accoglienza, ma la Questura nemmeno lo informa e lo invita a ritornare il 21 maggio per formalizzare la sua domanda d’asilo, e solo da quel momento lo considera richiedente asilo. E anche allora nessuno gli dice che se non ha soldi può essere accolto in un centro, o ricevere denaro dallo stato. E così, dopo che l’Ufficio Immigrazione gli dice che c’è una lista di attesa di 5 mesi, dorme in giro per 38 giorni, fino a quando il 7 giugno gli è concesso il dovuto posto in un Centro di accoglienza.

N. invece è pakistana, e il 3 giugno si reca alla Questura di Gorizia per chiedere la protezione internazionale. Qui le viene risposto che per lei non c’è posto in nessun Cara, ed è invitata tornare l’11 giugno per verificarne la disponibilità. Ancora una volta nessuno le chiede dove dormirà e mangerà. L’11 giugno N. ritorna in Questura: nei centri ancora non c’è posto e la Caritas – cui si era rivolta – non può più pagarle l’albergo. La donna resta per strada, si ammala e finisce al pronto soccorso, fino a quando il 14 giugno il Cir riesce a inserirla in un centro. Anche qui, nessuno ha mai avvisato N. dei suoi diritti. “I richiedenti asilo non devono pagare loro le responsabilità di un sistema insufficiente. Se non ci sono posti d’accoglienza che le Prefetture riconoscano loro, come previsto dalla legge, il contributo economico. – conclude Hein -. Stiamo assistendo ogni giorno a una sistematica violazione della normativa e dei diritti previsti in Italia e in Europa”.

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