La casa veneziana della Giudecca è quasi vuota. Katharina Miroslawa, oggi 51enne, sta terminando di riempire i bagagli per trasferirsi a Vienna. Accadrà a giorni, appena dopo il 25 giugno, quando l’ex ballerina polacca condannata per l’omicidio dell’industriale di Parma Carlo Mazza, avrà finito di scontare la sua pena. Ma la vicenda iniziata nella notte tra l’8 e il 9 febbraio 1986 non finirà così perché nelle intenzioni della donna, ritenuta la mandante del delitto per beneficiare del miliardo di un’assicurazione sulla vita stipulata dall’imprenditore ai tempi suo amante, c’è l’idea di una nuova istanza di revisione del processo. “C’è già chi ha parlato scagionandomi”, afferma Katharina Miroslawa, “e non è escluso che ci possano essere altri testimoni decisi finalmente a dire la verità. Che si facciano avanti, se sanno parlino. Non temo niente, qualunque loro parola non mi può danneggiare perché lo ribadisco, sono innocente”.

Sarebbe la terza istanza e questa volta – dopo essersi affidata a legali come Mario Secondo Ugolini, Gaetano Longo, Antonio Di Pietro e Nino Marazzita – a seguirla c’è il riminese Paolo Righi. Il quale, una volta chiuso il processo milanese a un’altra sua cliente celebre, l’ex consigliera regionale lombarda Nicole Minetti, si occuperà della storia giudiziaria di Katharina Miroslawa da cui in maggio ha ricevuto l’incarico. “Ho iniziato a esaminare la vicenda sulla base delle due istanze di revisione rigettate”, afferma il legale romagnolo. “La seconda era la più concreta dato che la Cassazione aveva parlato di motivi formali nel respingere la richiesta. I riscontri trovati allora, dopo che il marito scagionò la signora, erano stati raccolti per corrispondenza. Si trattava soprattutto della lettera di un testimone tedesco che non aveva valore processuale e non rientrava nelle formalità previste dalle indagini difensive”. Ora il compito di Righi è di rifarle, quelle indagini, e una volta concluse scioglierà la riserva decidendo se rivolgersi di nuovo alla Corte Suprema.

Insomma in gioco c’è il tentativo di ribaltare la sentenza definitiva di un processo che ha fatto a lungo parlare di sé fin dalle primissime fasi, quando Carlo Mazza fu ucciso da due colpi d’arma da fuoco esplosi dal marito di Miroslawa, Witold Kielbasinski. Per l’accusa e per i collegi giudicanti che si sono espressi, pur in un lungo iter fatto di sentenze annullate e rinvii ai gradi precedenti, la mandante era lei, che per questo fu condannata insieme al coniuge e al fratello, Zbigniew Drozdzik. Venne invece assolto un cittadino greco, Dimosthenes Dimopoulos, indicato in un primo tempo come colui che, con Drozdzik, avrebbe noleggiato l’auto usata per raggiungere Parma e commettere il delitto. Per gli altri imputati, invece, le condanne furono elevate: 21 anni e 6 mesi ai due fratelli polacchi e 24 al marito di lei.

Ora sono tutti liberi grazie a indulti e buona condotta. Kielbasinski, che nel 1996 scagionò la moglie e il cognato dicendo di aver agito per gelosia e non per denaro, dal 2007 è tornato in Germania. Anche Zbigniew Drozdzik ha chiuso i suoi conti con la giustizia e oggi vive in Polonia. L’unica che stava scontando ancora la sua pena, dal 2000 al 2012 in carcere a Venezia dopo essere sparita nel 1993 e poi in affidamento ai servizi sociali, era lei, Katharina. Che di progetti definiti per il futuro, una volta giunta a Vienna, non ne ha. Ciò che al momento sa è che l’estate la dedicherà a finire il libro che sta scrivendo con Rody Mirri, il talent scout di origine trentina che le ha presentato l’avvocato Righi. Lo conobbe nel 1986, appena dopo il delitto affidandosi a lui in qualità di manager, e con il tempo sono rimasti in contatto tanto che a fine estate saranno insieme nella città lagunare per presentare il volume, “Peccati”, nell’ambito degli eventi collaterali al Festival del cinema.

“All’inizio venni ascoltata come testimone e nel febbraio 1986 tornai in Italia senza sapere che Carlo era stato ucciso”, ricorda oggi Katharina Miroslawa. “Quando ne fui informata, sospettai di mio marito, ma non sapevo dove fosse stato in quel periodo. Tuttavia non temevo di essere incriminata perché non c’entravo niente con quel delitto. Poi, quando mi parlarono della polizza a mio nome, compresi: l’indiziata numero uno ero io e a quel punto cercai di difendermi”. Ma lei era la ballerina straniera, quella che aveva conosciuto il suo amante in un night. “Su di me sono state dette e scritte cose incredibili”, aggiunge. “Ero la colpevole perfetta, quella donna senza scrupoli che uccide per denaro”.

Dopo la seconda istanza rigettata però Miroslawa, nonostante la confessione del marito che la sollevava da ogni responsabilità, spiega che volle arrendersi. “L’avvocato Marazzita mi propose di andare avanti, di presentare ricorso, ma non ce la facevo più”. Ripiegò su se stessa, concentrandosi sul diploma in abbigliamento, quello che nel 2012 le ha consentito di andare a lavorare come sarta in una cooperativa veneziana. “Adesso che ho scontato la mia pena potrei scomparire definitivamente di scena”, conclude la donna, “rifugiarmi a Vienna e vedere che accadrà. Ma ho deciso che non lo farò e non per rancore o per voglia di una rivincita, ma solo perché finalmente la verità venga a galla. Lo considero un mio dovere”.

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