Dopo aver trionfato nell’ambito della manifestazione “Musicultura” ed esser stato tra i 60 finalisti di Sanremo, il cantautore romano classe 1986 Tommaso Di Giulio esordisce con “Per fortuna dormo poco”, un album che è il preciso prototipo di una cultura di frontiera piuttosto nuova da noi, ma anche un modello di come va la musica pop nell’Italia degli anni Duemila.
Prodotto da una nuova etichetta, la romana e indipendente Leave Music e distribuito dalla Universal, il disco raccoglie le diverse esperienze vissute da Tommaso, dapprima come componente di una band rockabilly, poi al fianco di grandi nomi come Max Gazzé, Marlene Kuntz, Dente e Mannarino.
Liricamente delizioso e vocalmente carezzevole, Tommaso con grande capacità di scrittura racconta gli spazi di confine, come quelle ore piccole che non si sa mai se chiamarle notte o mattina, in cui le impressioni di ieri si sommano alle speranze per affrontare il domani: “Perché di giorno si ha poco tempo per scrivere canzoni e metabolizzare esperienze. Quel che penso è che sia meglio un’ora di sonno in meno e una canzone in più. E poi – confessa – per fortuna dormo poco per davvero, perché ho un sacco di amici che vivono in diverse parti del pianeta, per via di questa crisi occupazionale e per restare in contatto, via Skype, bisogna surfare sui fusi orari”.
Mai banale, ma sempre leggero, anche quando medita su questioni delicate, Tommaso Di Giulio in questo disco ci mette la faccia a partire dalla copertina in cui appare per metà sveglio e per metà addormentato. “Per fortuna dormo poco, infatti, è un pensiero contraddittorio, quasi un ossimoro”. Oltre a essere una ammissione autobiografica.

Tommaso, quando hai avuto la consapevolezza di avere un particolare talento nella musica?
Non lo so tuttora. Il talento lo misura chi ascolta. Io so che quando sto sul palco sono finalmente presente a me stesso e il tempo acquista una qualità diversa e meravigliosa, questo mi basta.

Dai testi delle canzoni emerge il fatto che ascoltavi musica metal, hai studiato il jazz e hai suonato in una band rockabilly. Come è stato l’impatto con il pop?
Sento tuttora un sacco di roba diversa, dal trip hop a Gioachino Rossini, passando comunque per tutti quei generi che ho ascoltato in passato. Trovo irresistibili i Motörhead e non potrei vivere senza i dischi di Franco Battiato. Di conseguenza concepisco il pop sopratutto nella sua accezione di “popolare” che può voler dire un’infinità di cose. Giocare col Pop e con i suoi stilemi ti permette di mischiare le carte e rielaborare i propri riferimenti senza necessariamente levigare la forma. Esistono brani pop molto “hard”. Penso a Happiness is a warm gun dei Beatles che è un pezzo durissimo eppure poppissimo. Oppure La Cura di Battiato, o Sì Viaggiare di Battisti, come altre migliaia di brani che dietro alla cesellatura del cosiddetto pop celano complessità musicali o spessori poetici incredibili. Che vuol dire pop poi? Sia David Bowie sia Britney Spears si trovano alla voce pop…

La tua biografia in una playlist
Parto dalla cinque: 5) Love me tender di Elvis; 4) The Great Curve dei Talking Heads; 3) Martha di Tom Waits; 2) L’Animale di Franco Battiato; 1) Space Oddity di David Bowie.

Qual è la tua idea di canzone?
Più libera possibile. Non programmo mai in anticipo che brano dovrò scrivere, esce quel che esce. Però, tra le varie forme d’espressione, amo la canzone proprio perché, quando ti riesce, si può sintetizzare in pochi minuti sia l’infinitamente grande che l’infinitamente piccolo.

Cos’è che generalmente ti ispira?
Le cose che mi ispirano sono troppe, arrivano a sorpresa, l’idea per una melodia o per una frase può scaturire da una lettura, da un viaggio in autobus, da una chiacchierata con un amico o per colpa di un bacio. Credo che in fondo, sia la curiosità nei confronti di tutti gli aspetti dell’esistenza che fornisce materiale per la scrittura. Ad esempio, non so perché, ma mentre cucino qualcosa da mangiare mi vengono spesso degli spunti per le canzoni. D’altronde, musica e cucina sono le due arti che hanno più cose in comune.

Sei un artista emergente ma ti è già capitato di trovarti al fianco di nomi affermati. Qual è l’incontro che ti è rimasto più nel cuore?
Recentemente ho avuto l’estrema fortuna di conoscere di persona Battiato che, si sarà capito, è un mio mito assoluto. Dopo che ci siamo salutati stringendoci la mano mi ero ripromesso di non lavarmi più quella mano… Ma poi con le ragnatele sul palmo diventava difficile suonare la chitarra, quindi ho ceduto al sapone. Poi, scherzi a parte, un altro bellissimo incontro e stato con Gazzé, per il quale ho aperto qualche concerto in giro per l’Italia. È stato molto bello perché innanzitutto è un artista che seguo da sempre e perché anche umanamente si è dimostrato particolarmente accogliente e disponibile. Anche con la sua band è stato un bell’incontro, in particolare con il chitarrista Giorgio Baldi con il quale condivido una musicofilia esagerata!

Tommaso Di Giulio: Voce, chitarre, ukulele
& Bal Musette Motel
Simone Empler: Pianoforte, Tastiere, Glockenspiel, cori
Andrea Freda: Batteria e percussioni
Stefano Vaccari: Basso e Contrabbasso

 

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