Vedere dall’estero quello che succede nel paese in cui siamo nati e cresciuti viene sempre percepito in maniera differente. Succede a me, come a tantissime altre persone e giovani che si spostano da casa per cercare opportunità e lavoro. Una schiera di laureati-baristi a tempo indeterminato che aspettano il proprio turno per il lavoro che vorrebbero fare “da grandi”. Un filo sottile che accomuna italiani, spagnoli, francesi, greci, ciprioti, turchi che vivono all’estero (e in Italia) e che rende quello che ci accomuna più forte di quello che troppo spesso ci divide.   

Hidayet e Ozgur sono tra questi. Sono due amici che ho incontrato quando mi sono trasferito a Londra. Due ragazzi come tanti altri, che da due settimane hanno il loro cuore a Gezi Park, dove i loro amici di una vita combattono per la libertà. Entrambi vengono da un paesino vicino Istanbul e come tanti dei ragazzi turchi con cui ho parlato da quando è iniziata la protesta, hanno un’idea precisa a proposito della rivolta.

Ozgur ha vissuto per nove anni ad Istanbul, faceva la professoressa di matematica, poi si è spostata a Londra, dove vive da sei anni. “Ho preso parte alle manifestazioni ad Istanbul in prima persona, visto che mi trovavo in Turchia fino a qualche giorno fa. I miei amici ed i miei genitori erano con me ed anche quando me ne sono andata hanno continuato a protestare a Taksim e Gezi Park, dove sta germogliando il seme della tolleranza.”

“La resistenza che è iniziata a Gezi Park, unisce persone divise politicamente e culturalmente. Si tratta del parco, ma non solo. E’ una protesta per la libertà e l’uguaglianza, sul rispettarci l’uno con l’altro nonostante le differenze. Erdogan sta utilizzando la religione per dividerci. Dipinge i manifestanti come violenti anti-islamici ma, come sapete, la rivolta è trasversale anche dal punto di vista religioso. Se ho paura per i miei amici? Si, certo. Tutto il mondo ha visto la violenza della polizia per placare le proteste. L’articolo 34 della Costituzione turca dice che ognuno ha il diritto di protestare anche senza permesso, senza l’utilizzo di armi o violenza. Diciamo che al momento questo diritto è stato sospeso.”

Distanti e vicini da casa allo stesso tempo, i ragazzi turchi sono sempre informati su quello che sta succedendo ad Istanbul e nel resto delle piazze  della resistenza. “Quando riesco, guardo la Tv turca da Londra -dice Hidayet- anche se spesso quello che mostrano non combacia proprio con la realtà. All’inizio le proteste venivano ignorate. Poi la concentrazione si è spostata sui violenti, quelli che sono andati a Gezi Park solo per scontrarsi con la polizia e che fanno credere alle persone che le repressioni di governo e polizia siano giuste. Te lo dico perché i miei genitori, ad esempio, stanno dalla parte di Erdogan. In questi casi i mezzi di informazione più attendibili sono la stampa estera e soprattutto i social network. Gli amici postano foto e commenti live direttamente dalle strade di Istanbul. Per ciò che mi riguarda sono la fonte più attendibile. Se fossi in Turchia, sarei lì con loro.”

“Soprattutto se vivi fuori ti accorgi che il problema è culturale,” continua Hidayet. “In tanti continuano a credere a Erdogan perché non leggono, non si informano. Gli credono e basta, sono dei tifosi (suona familiare, no?). Le televisioni non mostrano quello che realmente succede e Gezi Park ne è stato una dimostrazione. Chi lo fa viene multato. Erdogan è in carica dal 2003, dopo così tanto tempo si sente quasi onnipotente, anche perché utilizza la religione come giustificazione per le sue azioni. Con il passare delle legislature ha aumentato le restrizioni per noi cittadini e soprattutto i giovani ne risentono.”

La Turchia in cui Hidayet e Ozgur vorrebbero tornare a vivere un giorno è una Turchia più aperta e libera. “E’ un processo che sta nascendo con le manifestazioni di queste settimane, ma che certamente avrà bisogno di tanto tempo per completarsi. Nel breve termine, per lo meno, speriamo nella nascita di un’opposizione politica più forte che riesca a lottare e rappresentarci meglio di quella attuale. Lo vogliono tanto le persone che stanno protestando in tutto il paese, come lo vogliamo noi, che un giorno torneremo a casa.”

Lorenzo Bettoni  – Vive a Londra da due anni. Tra le altre cose scrive per il magazine “Made in Shoreditch” ed è commentatore di calcio e tennis.

@lorebetto

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