Mentre la storia di Edward Snowden tiene banco in America e nel mondo, in un’aula di un tribunale di Guantanamo si svolge un processo che pare incarnare gli stessi caratteri e problemi segnalati dalla “talpa” della Nsa: segretezza, mancanza di trasparenza, assenza di controllo popolare e democratico. Il processo è quello ad Abd al Rahim al Nashiri, cittadino saudita accusato di aver progettato l’attacco suicida al cacciatorpediniere Uss Cole nel 2000 (ci furono 17 morti) e di essere uno dei capi di al-Qaeda negli Stati del Golfo. Arrestato nel 2002, dopo una serie di soggiorni nelle carceri segrete della Cia in Afghanistan, Thailandia, Polonia, Marocco e Romania, al Nashiri è arrivato a Guantanamo nel 2004. Le udienze preliminari del suo processo si sono concluse. L’accusa ha chiesto la condanna a morte.

Uno degli aspetti più preoccupanti – a giudizio degli avvocati e dei gruppi per i diritti civili – è che le udienze preliminari ad al Nashiri sono terminate con una seduta a porte chiuse di 78 minuti, da cui sono stati esclusi sia l’imputato sia i giornalisti. La giustificazione è stata quella altre volte fornita dalle autorità militari Usa: “un danno grave alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti nel caso alcune informazioni dovessero trapelare”. Uno degli avvocati del saudita, Rick Kammen, ha spiegato che “la vera giustizia si manifesta alla luce del sole, e non in segreto”. Kammen, un avvocato civile, gira per la base militare di Guantanamo indossando piccole spille con immagini di canguri – la kangaroo court in inglese è una corte che ha già emesso la sua sentenza -, a segnalare quella che il legale ritiene l’assenza di un vero diritto alla difesa e garanzie costituzionali a Guantanamo. Il capo dell’accusa, il brigadiere generale Mark Martins, ha invece spiegato che i diritti di al Nashiri sono stati ampiamente tutelati, in quanto i suoi difensori erano presenti alla seduta segreta.

Sembra comunque che la necessità di chiudere a pubblico e imputato l’udienza finale dipenda, ancora una volta, dalla necessità di mantenere una fitta coltre di silenzio sulle torture che ebbero luogo nelle carceri segrete della Cia. Durante i suoi interrogatori, al Nashiri fu sottoposto per almeno due volte al waterboarding, l’annegamento simulato. In un’altra occasione, sempre durante un interrogatorio della Cia, l’uomo fu tenuto nudo e incappucciato, minacciato con un fucile e un trapano elettrico per farlo parlare. I video delle violenze subite da al Nashiri – insieme a quelli che testimoniavano delle torture a un altro sospetto militante, Abu Zubaydah – sono stati distrutti dalla Cia nel novembre 2005. E’ quindi probabile che la scelta di imporre il top secret sull’ultima seduta dipenda proprio dalla preoccupazione di coprire quanto successo nei black sites gestiti dall’agenzia di controspionaggio Usa. Il processo ad al Nashiri dovrebbe iniziare nel febbraio 2014 – anche se gli avvocati dell’imputato hanno chiesto più tempo per preparare la difesa. Gli stessi avvocati non hanno potuto fare a meno di notare che questa è la prima volta in cui – dall’elezione di Obama nel 2008 – una corte di Guantanamo non consente all’imputato di partecipare al proprio processo. Tra le promesse del presidente Usa, c’era stata quella di garantire maggiori diritti agli imputati.

Oltre il processo ad al Nashiri, la situazione nella prigione cubana resta comunque molto tesa. Accuse e polemiche si susseguono senza sosta. Ancora gli avvocati degli imputati lamentano l’impossibilità di svolgere il loro lavoro nel migliore dei modi. I difensori di al Nashiri sono stati bloccati all’entrata della cella e sono stati confiscati tutti i block notes “a spirale”. Secondo il regolamento carcerario, con la rilegatura metallica a spirale il detenuto potrebbe costruire una garrota per strangolare se stesso o una guardia. Ogni volta che un imputato deve incontrare il suo avvocato, o esce dall’incontro con l’avvocato, viene sottoposto a lunghe e umilianti perquisizioni ai genitali. Resta poi l’altro enorme problema che sta sconvolgendo la vita del carcere: quello dello sciopero della fame da parte di almeno 104 dei 166 detenuti ancora nella prigione. 43 tra questi, ormai troppo debilitati e a rischio di morte, sono nutriti a forza dalle autorità mediche del carcere. La settimana scorsa un articolo nel New England Journal of Medicine ha però riaperto la polemica. I dottori di Guantanamo, hanno scritto altri medici sul Journal, non dovrebbero nutrire a forza i detenuti, “non dovrebbero permettere ai militari di usare la loro scienza a fini politici”.

Il “clima” nella prigione sembra dunque particolarmente bollente, proprio nel momento in cui nella base militare sta per aprirsi un altro processo che promette di essere altrettanto “segreto”: quello a Khalid Sheick Mohammed e agli altri quattro sospetti militanti accusati di aver progettato gli attentati dell’11 settembre – in programma a partire da lunedì 17 giugno. Anche qui la battaglia legale promette di essere particolarmente furiosa, tra coloro che chiedono un processo il più possibile pubblico e “garantista” e coloro che invece sottolineano la necessità di garantire la sicurezza nazionale. Quel che è sicuro è che i processi ad al Nashiri e ai cinque dell’11 settembre possono contare su tutto il tempo necessario. La Camera degli Stati Uniti, a maggioranza repubblicana, ha infatti in settimana bloccato il piano di Obama per chiudere Guantanamo e trasferire gran parte dei detenuti nello Yemen e in altri Paesi. Il carcere resta aperto, ampiamente finanziato dai contribuenti americani, ben operante in materia di processi agli imputati della war on terror.

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