Due anni fa, all’epoca del referendum sull’acqua, il Fatto Quotidiano fu compatto nell’esprimere posizioni favorevoli, ma, molto correttamente, ne presentò in prima pagina anche una contraria (l’unica scritta da un economista, l’autore di questa nota).

Tuttavia le posizioni contrarie a quel referendum erano in realtà massicce, e vennero soprattutto da studiosi del settore pubblico: lavoce.info, certamente non collocata a destra, e le firme di un appello di più di cento professori di economia, non credo tutti reazionari iperliberisti.

E forse l’impasse attuale delle politiche successive del settore dei servizi pubblici non è dovuta a una congiura di speculatori appoggiati dalla perfida Europa, che vuole il nostro male, ma da ben più solide considerazioni pratiche, e di buon senso.

Ricordiamo allora per sommi capi la posizione contraria, che considerava il referendum demagogico e sostanzialmente connesso a questioni fiscali, sulle quali non bisognerebbe fare referendum di sorta (chi risponderebbe di no allo slogan berlusconiano “meno tasse e più pensioni per tutti”? E il referendum sostanzialmente chiedeva se si voleva pagar l’acqua di più regalando soldi ai privati, o di meno mantenendo la gestione pubblica….).

Ora, produrre un servizio pubblico (acqua, elettricità, trasporti locali ecc.) costa dei soldi, e molti. La socialità di un servizio pubblico invece non dipende da come è prodotto, e quanto costa produrlo, ma da quanto costa agli utenti (e dalla sua qualità, regolarità ecc.). Può anche essere fornito gratis a tutti, se così si decide democraticamente. Certo, se si sceglie di sussidiare di più i trasporti, ci saranno meno soldi per l’acqua ecc.

Ora, la spinta ad a aprire alla concorrenza la produzione dei servizi (come è aperta alla concorrenza quella di molti beni essenziali, come quelli alimentari, o le case ecc. ecc.) deriva da un problema storico molto grave: in genere, le produzioni pubbliche senza concorrenza hanno generato costi molto alti alle amministrazioni locali, indipendentemente da quanto sono poi stati fatti pagare agli utenti. Quindi sono fonti di grandi deficit, e della conseguente necessità di fornirne di meno o di inferiore qualità.

L’acqua, insieme ai trasporti, è un esempio clamoroso: le gestioni pubbliche dei decenni passati hanno prodotto un “buco” nella manutenzioni delle reti (che perdono il 30% dell’acqua), che si stima costerà non meno di 50 miliardi riparare. Cioè i soldi sono andati altrove, o in tariffe non riscosse, o in gestioni clientelari, ecc. La scelta è davvero ampia.

Il referendum proponeva di mantenere questa gaia situazione invariata, magari con delle raccomandazioni agli enti locali di “comportarsi meglio” in futuro.

Cosa propone invece l’Europa? Mica di liberalizzare il settore, come sempre hanno fatto intendere i promotori del referendum! L’Europa non lo propone per nessun servizio pubblico: propone solo di metterli in gara periodica (cioè che si rifà ogni x anni). Se una società pubblica promette di fare per contratto un servizio migliore, e/o di chiedere meno sussidi a parità di servizio, vincerà la gara.

Se invece un privato o una impresa straniera si impegnerà per contratto a far meglio, subentrerà a quella esistente, che altrimenti rimarrà.

Poi l’ente locale, anche sulla base dei costi che dovrà pagare al vincitore, deciderà se sussidiare più l’acqua o i trasporti, in modo da garantirne la socialità indipendentemente da chi produce il servizio.

Obiezione n.1: ma il privato calcolerà dei profitti, in quello che offre nella gara. Benissimo, per vincere dovrà chiedere meno soldi compreso i profitti, altrimenti perderà, e la gestione rimarrà pubblica.

Obiezione n.2: ma se l’amministrazione è corrotta, si farà corrompere dal privato. Ma scusate, se è corrotta come gestirebbe senza gara il servizio? ( e l’esperienza passata, che si vuole mantenere inspiegabilmente a tutti i costi, fa pensare a molte gestioni corrotte, dati i catastrofici risultati….). Certo che anche le gare, non solo le gestioni pubbliche, possono essere corrotte. Ma i poliziotti da uno con le gare diventano due: anche i concorrenti stanno pronti a denunciare gare sospette, non solo la guardia di finanza… E due sono meglio di uno.

Per concludere, non se ne può più di sentir parlare di “neoliberismo berlusconiano”. Citerò Travaglio, per una volta: i governi Berlusconi non hanno liberalizzato neanche una cuccia per cani…

Articolo Precedente

Il decreto del non Fare… Cultura

next
Articolo Successivo

M5S, dodici senatori: “Non vogliamo andarcene dal gruppo, quereliamo”

next