Per ridere in faccia alla morte aspettano di salire su un palco. E di solito è una risata che parte dal cuore, una pugnalata nel buio di una sala nera quando si apre il sipario. Luisella, Rosanna e Marta sono alcune delle attrici del laboratorio di teatro comico per pazienti oncologici dell’ospedale di Parma. L’associazione si chiama “Verso il Sereno” ed è una onlus nata nei corridoi di un ospedale dalle pareti gelide: la compongono persone che un giorno si sono ritrovate mentre cercavano un aiuto. Addosso una malattia con la quale convivere. Il cancro. Nascono nel 1998, poi dieci anni fa l’idea del laboratorio: cominciano in venti e non sanno a quanti la malattia consentirà di recitare lo spettacolo fino in fondo.

C’è chi arriva e chi parte, la scena diventa un porto di passaggio, la palestra dove lasciarsi andare e dire ad alta voce le parole che iniziano con la lettera emme. Morte, malattia, ma anche mamma e voglia di un abbraccio caldo che molto spesso arriva da sconosciuti, da chi ha affrontato gli stessi dolori. “É un’esperienza bellissima”, dice Franca Tragni, la regista che cerca di domare un gruppo di attori dai 50 ai 70 anni, “una storia di presenze forti, ma anche di assenze”. Si parte con un gruppo, donne e uomini che al pomeriggio fanno chemioterapia e la sera mettono le scarpe per andare a fare le prove. “Poco tempo fa ci ha lasciato Stefania. La più grande Ofelia che io abbia mai diretto. La ricorderò sempre così”. Ofelia lascia un buco vuoto sulla scena, e gli attori devono stringersi ancora più stretti per poter andare avanti. “Il teatro è così, una medicina magica capace di regalare emozioni. Prende le energie e in cambio dona una speranza. A chi recita ricordo dov’è il loro corpo. Cerco di fargli riprendere lo spazio”. Al laboratorio di teatro possono partecipare pazienti, ex ricoverati del reparto oncologico di Parma, ma anche amici o curiosi. E l’obiettivo è rompere quella campana di vetro che tiene lontano dal mondo chi anche solo per un istante ha conosciuto la morte. “L’idea di proporre il laboratorio di teatro”, racconta la volontaria Luisella Notari, “mi è venuta dopo la convalescenza. Mi sono fatta regalare un corso di teatro dai miei familiari. Avevo voglia di ricominciare a fare progetti. É stato solo l’inizio”. Luisella scopre il cabaret e le risate sul palcoscenico e nel 2000 lo propone all’associazione, comincia così l’avventura. “É stato un successo fin dall’inizio.

Perché regaliamo alle persone un momento tutto loro, di comprensione e ascolto. E perché capiscono che possono ancora mettersi in gioco”. Nati esseri umani, diventati pazienti di un male che in molti non vogliono nemmeno pronunciare e finiti attori su di un palco che in fondo è semplicemente la loro vita. “In questi anni ho visto metamorfosi bellissime. Alcuni arrivano in teatro che nemmeno riescono a pronunciare il loro nome e cognome davanti ad un piccolo pubblico. Trema la voce e si fa leggera come un sibilo. E poi li vedi a fine anno, soli a recitare spettacoli”. Perché se hanno imparato a convivere con la fine, tenersela nella tasca della giacca, sulla testa al posto dei capelli e nelle scarpe come un sassolino che non esce mai, possono anche impararsi un copione. Sono un gruppo di attori senza memoria, che a volte perde le forze ma dopo una pausa a respiri lunghi riesce sempre a rimettersi in piedi. Tra le attrici Rosanna Coruzzi, che in quelle sale ha passato molti anni: “Siamo meravigliosi, bisogna vederci all’opera per capire. Succede che arriviamo stanchi per le cure o semplicemente il lavoro a casa. C’è chi dimentica la parte, chi per lunghi tempi non riesce a venire. Ma il gruppo si aiuta e ogni primavera abbiamo uno spettacolo da presentare”. Quando in sala scende il buio e si apre il sipario, c’è da andare a cercare la voce che se ne sta nascosta tra i polmoni e il diaframma, lanciare un gancio e tirarla fuori dal pozzo. E quasi sempre ci si riesce.

“Su quelle quattro assi di legno noi impariamo ad accettarci per quello che siamo. Ridiamo della nostra storia e farlo insieme è il segreto”. Tanti gli spettacoli messi in scena, da Molière alle fiabe dei cartoni animati. “Siamo noi a lavorare sul testo, li scriviamo e li arrangiamo per le nostre esigenze. Quest’anno abbiamo ripreso le storie dei cattivi delle fiabe. Ci siamo immaginate loro da anziani che cercano di ritrovare lo smalto che avevano perso”. Oppure c’è un classico del repertorio di “Verso il Sereno”, il “Malato immaginario” di Molière, dove gli attori giocano con la loro malattia e fanno a gara a chi è il più grave. “Alla fine c’è una scena dove tutti ci togliamo le parrucche e le lanciamo in aria. Un gesto importante per noi che abbiamo indossato quei capelli finti durante la chemioterapia”. Poi si chiude il sipario e gli attori si guardano. É stata una bella serata e le risate hanno fatto un rumore come di piatti rotti e folate di vento forte. C’era pure la morte seduta da qualche parte tra il pubblico, ma di sicuro anche a lei è scappato da ridere.

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