In tutto il mondo si celebra la Giornata del bambino africano. La data ricorda il massacro degli alunni di Johannesburg, Sud Africa. Il 16 giugno del 1976 erano scesi in piazza con alcuni insegnanti per protestare contro il decreto che faceva dell’afrikaans, dialetto boero sconosciuto ai neri, lingua d’insegnamento. Il governo fece fuoco, centinaia le vittime, tra questi molti bambini. A loro, dal 1991, l’Organizzazione dell’Unità Africana dedica il 16 giugno, per tenere alta l’attenzione mondiale sull’infanzia nel continente africano.

Nell’Africa subsahariana sono oltre 45 milioni i bambini che non vanno a scuola (dati Unicef). Uno su 9 muore prima dei 5 anni. Tra le cause principali la malaria, la polmonite, la malnutrizione e i problemi legati all’Hiv. Evitabili, con cure e prevenzione adeguate. E poi bambini sfollati, sfruttati, vittime di guerre o di mutilazioni genitali, che a centinaia di migliaia si riversano nelle strade degli slum, le baraccopoli che circondano le grandi città. 

Lo sa bene Amref (African medical and research foundation), la fondazione al 97% africana che da 14 anni opera a Nairobi, in Kenya, per recuperare i ragazzi di strada, 125mila. Nell’ex colonia inglese un bambino su 3 lavora e 8 milioni vivono in assoluta povertà. Un centinaio gli slum della capitale. Il più grande, Kibera, conta un milione di persone. Qui i bambini rovistano nelle discariche in cerca di qualcosa che riempia la pancia o si faccia vendere. Niente cappotti contro il freddo, ma colla da sniffare. Con questi bambini la lingua swahili non usa ipocrisie: li chiama chokora, gli “scarti”.

Amref dal 2004 a oggi ne ha aiutati oltre 16.000. Dà loro cibo sano due volte al giorno, istruzione, analisi mediche e psicologiche, formazione sulla salute riproduttiva. Ma non si limita a questo nel nuovo Children Village, il centro inaugurato nel 2011 a Dagoretti, distretto occidentale di Nairobi. Qui la fondazione punta a sviluppare i talenti dei ragazzi di strada. Solo così possono costruirsi una vita indipendente, felice, che sia di esempio per altri bambini chokora

Vero e proprio centro polifunzionale, il Children Village si estende per 1.745 metri quadrati ed è circondato da alberi da frutto, una vasca per l’acqua piovana, un allevamento di animali da cortile e una latteria. Questi, insieme alla pizzeria, garantiscono una fonte di reddito per il Centro e le sue attività. Tra le più importanti c’è l’anfiteatro col suo laboratorio teatrale, dove è nato il Pinocchio Nero di Marco Baliani, decine di repliche a Nairobi e 30mila spettatori in Italia. Il suo piccolo protagonista, Onesmus Kamau, è cresciuto. Oggi ha 22 anni, ha preso un diploma di scuola superiore e insegna recitazione ai nuovi arrivati al Children Village. Dopo cibo, cure e istruzione, è l’arte ciò di cui più hanno bisogno questi bambini. “Il teatro insegna loro il coraggio di prendere la parola. E’ un lavoro sulla presenza al mondo. Da grandi possono diventare educatori per altri bambini di strada. E recuperare il diritto all’infanzia” spiega a ilfattoquotidiano.itAntonella Talamonti, vocalista e compositrice che al Children Village, lo scorso novembre, ha aiutato col canto e la voce i ragazzi del laboratorio teatrale. Dove, ha notato, non mancano grandi talenti della recitazione e della musica. Il teatro può servire soprattutto alle bambine e ragazze, secondo Antonella: “Lì il tipo di relazione tra donna e uomo è molto gerarchico. Le femmine sono più timide, aspettano a parlare. Con molta delicatezza e intelligenza va fatto un lavoro di valorizzazione”.

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