Giorgio Squinzi, presidente della Confindustria, teme che l’austerità imposta all’Italia e che mette in ginocchio le imprese possa favorire “altri, che vengono a fare shopping, portandosi a casa i nostri pezzi migliori a prezzi di saldo”. Ai cinesi non manca liquidità in questi tempi di crisi: tra gli “altri” figurano in pole position. Corteggiati, temuti ma dipende dai casi. Tra pochi giorni a Roma arriverà una missione di alti funzionari da Shanghai a visionare le possibili occasioni made in Italy. Ma, soprattutto, da giovedì sarà autorizzata a operare in Europa l’agenzia di rating cinese, Dagong: una novità che (lo vedremo) ha pure diverse implicazioni italiane. E che potrà favorire lo shopping del gigante asiatico, rassicurando i suoi investitori.

Ma iniziamo dalle presentazioni. Dagong è la risposta di Pechino alle “big three”, le tre grandi agenzie statunitensi (anche se Fitch è al 50% francese) che continuano a dominare (con il 97% di quota a livello mondiale) il mercato della valutazione del credito. Nata nel 1994, ha collaborato fino al ’99 con Moody’s, una delle big three. Dal 2010 assicura anche il rating ai debiti sovrani. Anzi, in questo campo Dagong ha fama di essere più severa delle colleghe. E si è guadagnata anche una certa credibilità. Nell’estate 2011 fu la prima a togliere la tripla A agli Stati Uniti, prima di Standard & Poor’s. E nel settembre dello stesso anno fu la prima agenzia a sottrarre l’Italia dalla categoria A, così da far scivolare verso la tripla B. Pure in quel caso, fu premonitrice rispetto alle colleghe.

L’approccio dell’agenzia cinese, in ogni caso, è diverso da quello delle concorrenti americane. Privilegia la crescita economica di un Paese, la sua capacità a creare valore aggiunto e la propensione all’export più che fissarsi sulle privatizzazioni e le deregulation realizzate, come fanno le americane. Ovviamente è una prospettiva che favorisce le economie emergenti più che quelle mature.

Nel 2010 Dagong incassò una sonora sconfitta negli Usa, dove aveva chiesto l’autorizzazione a operare a 360 gradi. Ma la Sec, equivalente della nostra Consob, le negò quella possibilità. Una delle giustificazioni: l’opacità nel controllo del capitale. Il 60% è nelle mani del presidente Guan Jianzhong. E il restante 40% farebbe riferimento a un cofondatore, di cui non si conosce l’identità. Per gli americani Dagong sarebbe in realtà controllata dallo Stato cinese, che, pure nelle sue diramazioni a livello dei grandi gruppi, riceverebbe rating “accomodanti”. Sono critiche giustificate. Ma che, venendo dagli Stati Uniti, dove l’opacità e i conflitti d’interesse per le agenzie di rating sono all’ordine del giorno (l’investitore-speculatore Warren Buffet è padrone del 12,5% di Moody’s), fanno sorridere. Senza considerare che, in parte proprio per queste strane commistioni, le big three non hanno previsto la crisi dei subprime, né il crac di Lehman Brothers.

Dopo il no della Sec, però, venerdì 7 giugno al termine di una lunghissima procedura di autorizzazione è arrivato il via libera della Commissione europea. Dal 13 giugno Dagong potrà operare liberamente in Europa. Che significa valutare qualsiasi tipo di azienda, banca e assicurazione del vecchio continente. L’obiettivo dei dirigenti è arrivare in cinque anni al 5% di quota di mercato. Ma soprattutto i rating serviranno ai gruppi cinesi che intendono fare shopping di imprese. E che, prima di investire, vogliono capire dove stanno mettendo le mani. Il 18 giugno a Roma arriverà una delegazione dello Shanghai Administration Institute, che è la scuola di formazione dei funzionari pubblici. Si recherà anche al ministero del Tesoro, forse per discutere di possibilità di acquisizioni future. Si sa, ad esempio, che i cinesi sono interessati a gruppi come Snam, Terna e Telecom Italia, in cui la Cassa depositi e prestiti detiene quote di partecipazione. All’incontro è prevista la presenza di Alberto Forchielli, molto vicino a Romano Prodi e uno dei fondatori di Mandarin Capital Partners, fondo di private equity finanziato da investitori europei e cinesi.

Ebbene, proprio Mandarin è socio di Dagong nella creazione della sua filiale europea. La sede ufficiale di Dagong Europe, quasi al suo debutto, è a Milano. E il suo vicepresidente è Lorenzo Stanca, che proviene da Mandarin (ed è parente dell’ex ministro Pdl Lucio Stanca). Da sottolineare, poi, che anche Prodi ha figurato fra i consulenti di Dagong. E che i “prezzi di saldo” di cui ha parlato Squinzi potrebbero interessare i cinesi. Soprattutto se Dagong, con i suoi rating, li convincerà che stanno facendo l’investimento giusto.

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