Nonostante il numero di incidenti e di vittime della strada sia tra i più bassi del mondo industrializzato (3.8 ogni 100mila abitanti, in Italia sono più del doppio, 8.6) il Giappone ha approvato alcuni giorni fa  una serie di pesanti inasprimenti al Codice della Strada, già particolarmente duro nei confronti di chi lo viola. Basti pensare alla controversa disposizione, in vigore oramai da molti anni (anche se di fatto poco applicata) in base alla quale sono perseguibili penalmente, oltre a chi guida in stato di ebbrezza (tolleranza zero: neanche un bicchiere di vino è consentito) anche i passeggeri e gli esercenti di locali pubblici che, essendo a conoscenza che il cliente si sarebbe posto alla guida, gli hanno venduto bevande alcoliche. Un rigore – frutto di una cultura e di un consenso sociale ampiamente condiviso, nessuno, ma proprio nessuno in Giappone beve se sa che deve guidare – che contrasta con il principio generale, sancito all’art.39 del codice penale: che lo stato di ubriachezza, a meno che non sia di provata origine dolosa, sia un’attenuante. E non, come avviene per la maggior parte dei casi (compresa l’Italia) un’aggravante.  

Nel “pacchetto” approvato pressoché all’unanimità  dal Parlamento (su proposta del Ministro della Giustizia) e provocato da alcuni recenti e tragici casi (sei bambini a bordo di un pulmino uccisi da un camion alla cui guida c’era un epilettico, altre 8 persone uccise da un veicolo al volante del quale c’era un conducente senza patente), chiunque venga trovato al volante senza patente rischia, anche se non ha commesso alcuna infrazione o provocato incidenti, 5 anni di carcere e 5 mila euro di multa (prima  la pena era di un anno massimo e 3mila euro di multa). Non basta: ora anche chi si fa trasportare da una persona senza patente rischia non solo una multa, ma il carcere: fino a due anni.

Duramente inasprite anche le pene per chi nasconde, in sede di visita medica, malattie croniche che possano ostacolare la guida sicura, come l’epilessia: un anno di prigione e ritiro immediato della patente conseguita omettendo le circostanze ostative. I pazienti epilettici, o comunque affetti da malattie croniche che possano provocare inabilità anche temporanee, debbono inoltre  essere immediatamente segnalati dai medici alle competenti autorità, pena pesanti multe e anche il carcere, per chi omette dolosamente la segnalazione.

 Ma l’inasprimento maggiore è quello nei confronti di chi guida in stato di ebbrezza (inshu unten – 飲酒運転 ), condizione che in Giappone lo ripetiamo si estende anche a chi beve una birra o un bicchiere di vino, o di chi si sottrae, fuggendo, ai controlli. In caso di incidente mortale, anche di natura colposa, il conducente al quale siano riscontrate tracce di alcool  (curioso che la legge non parli di altre sostanze, come le droghe, probabilmente perché già vietatissime e poco diffuse) rischia fino a 15 anni di carcere, mentre abbandonare la scena di in incidente, anche non mortale, per evitare il test può portare ad una condanna di 12 anni. Pene severissime, dunque, che sembrano tuttavia trovare assoluto consenso nella società,  nonostante, lo dicevamo all’inizio, in Giappone gli incidenti siano in calo costante e le vittime della strada, che nel 1970, con appena 4 milioni di autoveicoli in circolazione, erano 16.000, siano andate continuamente diminuendo, fino al minimo storico registrato l’anno scorso, con 4.411, su oltre dieci milioni di veicoli in circolazione.

Un consenso che non è solo frutto di una rigida e continua “educazione” (nelle scuole fanno vedere video francamente un po’ “forti” con  incidenti, macchine accartocciate, famiglie che piangono e cittadini che finiscono in prigione rovindandosi la vita), ma anche di un’organizzazione sociale e logistica molto efficace. Mezzi pubblici abbondanti e puntuali, parcheggi carissimi e una miriade di taxi tutto sommato a prezzi decenti. Insomma, se la sera (a pranzo non si beve, mai) si vuole andare tranquilli a cena, lasciandosi andare (cioè bevendo, anche parecchio)  come impone la liturgia aziendale e sociale, meglio lasciare a casa la macchina. Che in Giappone – o quanto meno nella grandi città come Tokyo – si usa solo durante il weekend o per qualche emergenza.

Ma codice della strada a parte, bere in Giappone non è un fatto disdicevole. Anzi. Come il fumo – di tabacco, per quanto riguarda marijuana e droghe leggere c’è la prigione assicurata – la cultura del “lasciarsi andare” è molto diffusa e trova un curioso riconocimento addirittura nel codice penale ed in quello di procedura.  Vale la pena ricordare – e ci vorrebbe molto più spazio per spiegarne l’impatto sociale, politico e giuridico –  che in Giappone l’azione penale è discrezionale. Il suo esercizio è regolato dall’art.248 del codice di procedura penale (kiso-bengishugi) che dopo aver indicato tutta una serie di circostanze “attenuanti” compresa l’incapacità anche temporanea, di intendere e di volere (shinshin kyojaku, concetto nel quale rientra anche lo stato di ubriachezza non dolosa),  riconosce al giudice inquirente ampia discrezionalità  (qualcuno parla di “arbitrarietà”) prima di decidere se avviare o meno l’azione penale.  Al quale segue,  pressoché in automatico, il rinvio a giudizio e l’altrettanto pressoché automatica condanna. E la prigione. Che in Giappone  è dura. Molto dura. Per tutti: il lavoro è obbligatorio, la disciplina ferrea e non vi è traccia di privilegi. Vietato fumare e, ovviamente, bere. 

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