“Chiedo al Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri se la grana delle carceri…”. Inizia così l’intervista di Michele Brambilla su La Stampa, il quotidiano che da qualche giorno sta dedicando spazio al tema, che titola roboantemente ‘Meno gente nelle carceri’.

Mettiamoci d’accordo, gente o persone, grana o questione, come ha tuonato Giorgio Napolitano, il 7 giugno alla festa degli agenti della Polizia penitenziaria?

Per il primo quesito penso si tratti di una domanda retorica, ma per il secondo, mi verrebbe da dire nessuna delle due, visto che per le carceri si tratta di una Questione, con la Q maiuscola e nazionale per giunta, ricorrendo immodestamente ad Antonio Gramsci, che in carcere è stato lasciato morire.

Solo ortografia, dunque? No, un problema che affonda nelle grandi arretratezze del nostro Paese, non solo una grave urgenza, quindi. Sì perché come tale ancora una volta, viene enunciata, nemmeno affrontata.

Un’urgenza contabile, come per lo spread ai tempi di Monti, evocata dal timore di ulteriori sanzioni che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo sta per comminarci. Le carceri italiane nel mirino sono tante e il nostro debito con l’Europa, ma soprattutto con la responsabilità di rieducare e di restituire alla società persone in grado di iniziare un nuovo cammino è destinato ad aumentare. La gravità della questione carceraria, forse sta tutta nell’uso di una lettera minuscola in luogo di una maiuscola. Nel continuare a trattare il tema della Giustizia e del suo cattivo funzionamento come urgenza.

Saniamo, ancora una volta e poi continuiamo con gli abusi, come per il territorio, o come dopo un terremoto. Spendere per il carcere è un investimento nemmeno tanto a lungo termine, che dà risultati quasi immediati in termini di convivenza sociale grazie anche alle riduzione delle recidive. Intraprendere attività in un carcere è poi vantaggioso anche dal punto di vista economico, poche amministrazioni e poche aziende lo fanno, e gli esempi che ci vengono propinati sono sempre gli stessi: Bollate, il carcere che avrebbe dovuto improntare tutto il sistema carcerario italiano, purtroppo rimasto un fiore all’occhiello, ma fortunatamente pensato con la Q maiuscola. Padova, e poche altre.

Se chiedete a un detenuto se è d’accordo con l’amnistia, vi dirà di sì, se gli chiedete però che cosa gli serve veramente, vi dirà che vorrebbe imparare qualche cosa mentre è lì. Chi un mestiere, chi a scrivere in italiano, chi a rapportarsi con i figli o con la compagna, ma soprattutto un percorso di maturazione e di crescita personale, di ricerca di un senso da dare alla propria vita e alla propria temporanea “sosta forzata”. Per tutto ciò occorrono tempo, pazienza e continuità, e non sporadiche attività e iniziative che servono di più rafforzare l’ego e il portafoglio di chi  le porta avanti in carcere che non ai detenuti. Naturalmente non tutti, alcuni vi diranno che sono delinquenti e tali resteranno, ma non credete loro. Anche Cristiano all’inizio dei nostri incontri di Vivere con Lentezza (letture ad alta voce di un libro) diceva così. Oggi fa lo scrivano-poeta per i suoi compagni, in attesa di sapere che cosa gli accadrà.
 

 

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