Milano, la Lombardia e la ‘ndrangheta. Legami antichi. Ieri infiltrazione, ora vera presenza. Consolidata, attiva e pericolosissima. L’allarme diventa emergenza. E nonostante questo oggi s’indaga troppo poco. La fotografia, impietosa e preoccupante, arriva dagli analisti della Dia di Milano. A pagina 1 della relazione semestrale al Parlamento del 23 maggio 2013, firmata dal capocentro Alfonso Di Vito, si legge: “L’azione di contrasto alle organizzazioni criminali, valutata sulla scorta dei provvedimenti emessi dalle autorità giudiziarie, ha evidenziato un’ulteriore flessione rispetto alle ultime analisi prodotte, nell’occasione delle quali tale trend negativo si era già manifestato”. E così dopo il biennio 2008-2010 culminato con la maxi-operazione Infinito, la Direzione distrettuale antimafia del capoluogo lombardo non sembra più in grado di menare colpi decisivi alle cosche. Ma c’è di più. Nelle 61 pagine del report Dia si lancia un allarme anche per Expo 2015. In particolare viene segnalato come la piattaforma informatica “sia di fatto inutilizzabile a causa di vistose lacune relative alla scarsa intuitività del sistema e alla carenza della documentazione richiesta”.

Sulla Lombardia tira una brutta aria. Secondo gli investigatori della Direzione investigativa antimafia uno dei motivi è legato certamente “alla forte crisi economico-finanziaria che si riverbera anche sulle risorse a disposizione del Comparto Sicurezza”. Ma c’è di più. Nell’ultimo periodo il rapporto tra mafia e politica si è fatto più stretto. In questo senso anche le indagini sono cambiate. Non più solo droga, ma anche grande attenzione alla cosiddetta “zona grigia” composta da personaggi cerniera tra le cosche e le istituzioni. Indagini di questo tipo, ragionano gli analisti dell’antimafia, “richiedono tempi di investigazione più ampi”, dovuti, anche, “alla mancata evoluzione degli strumenti normativi che potrebbero consentire un’azione di contrasto più efficace con un adeguamento ai mutamenti dei fenomeni criminali”. Anche perché oggi la ‘ndrangheta, e più in generale i gruppi mafiosi, “operano in un quadro di apparente legalità, con attività para-legali nei settori dell’edilizia e dell’urbanistica, dei servizi ambientali e sanitari, nella gestione delle discariche, del ciclo dei rifiuti e delle bonifiche e, nei finanziamenti pubblici, nella grande distribuzione, nell’erogazione del credito, nell’energia, nei giochi d’azzardo e nelle scommesse”.

La veste di para-legalità con cui i boss agiscono in Lombardia produce reati poco cruenti e con un basso allarme sociale. Sono reati fiscali o amministrativi. “Reati – si legge nella relazione – che risultano paralizzanti per la crescita delle varie aree territoriali”. E ancora: “Tali forme di illegalità sono il terreno in cui si realizza l’intreccio di interessi tra criminali, politici, amministratori ed imprenditori” e dove “la corruzione diventa la chiave di accesso che permette alla criminalità organizzata di espandersi”. I settori più gettonati dai colletti bianchi dei clan sono la sanità, l’ambiente e l’urbanistica con i suoi, ormai famosi, Pgt (Piano di governo del territorio), che spesso si trasformano “in lottizzazioni pilotate” e basi “per rapporti di corruttela con appartenenti alle istituzioni”.

E’ mafia spa. Vera holding del crimine che delinque e corrompe, paga i politici e incassa appalti. Ecco, allora, il ragionamento degli investigatori della Dia: “Il perdurare dell’illegalità diffusa che inquina parte della politica e della pubblica amministrazione come espressione di una gestione corrotta, inadeguata e inefficiente delle risorse pubbliche, potrebbe concorrere – laddove il nuovo, auspicato quadro istituzionale non dovesse tangibilmente ispirarsi a principi condivisi di moralità e progettualità per una reale ripresa dello sviluppo – ad alimentare derive di legittimazione sociale”. Allo strapotere economico delle mafie si risponde “con una scarsa efficienza istituzionale”. Lo Stato non risana i settori maggiormente colpiti dalla crisi. Settori sui quali oggi punta gli occhi la mafia, ottenendo un risultato devastante: aumentare il proprio consenso sociale tra le fasce più deboli. Per questo “il quadro istituzionale dovrebbe riappropriarsi delle proprie funzioni”.

Lo scenario tratteggiato dagli esperti dell’antimafia non tranquillizza. Tanto più, viene sottolineato a pagina 7, che, oltre alla ‘ndrangheta, c’è un pericolo per Cosa nostra e camorra, organizzazioni ad oggi “scarsamente indagate”. E nonostante questo, ragionano gli analisti, “anche per le compagini siciliane, campane e pugliesi la Lombardia, pur nella fase di recessione e stagnazione, può essere bacino di reinvestimenti”.

Aumentano, poi, i cosiddetti “reati spia”. Reati che pur non tipicamente mafiosi, sottendono un probabile collegamento. Ci sono così gli incendi in buona parte legati “a tentativi di estorsione singola”. C’è “un rischio crescente di usura collegato alla persistente crisi economica e finanziaria del Paese”. Aumenta così la domanda di credito anche al di fuori “dei circuiti legali” dando linfa al “mercato dell’intermediazione finanziaria abusiva e usuraria”.

Se da un lato, la Dia registra un inquietante dimunizione della indagini contro la criminalità organizzata, dall’altro si nota “la tendenza a sempre maggiori assunzioni di responsabilità e collaborazione tra Istituzioni e parti sociali. In tal senso sono da leggere le iniziative di prevenzione/contrasto alla criminalità organizzata recentemente adottate in Lombardia da enti pubblici e privati”. Insomma “l’atteggiamento di fiducia ed il desiderio di cambiamento sempre più manifestato e partecipato (che tende a sostituire il passato approccio vittimistico e fatalistico) fanno ben sperare, nel medio – lungo termine”. Per decenni la lotta alla mafia si è fatta solo con la repressione. Ora la presa di coscienza dei cittadini lombardi può veramente far sperare in un cambiamento radicale.

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