Ci dev’essere qualcuno, a Palazzo Chigi e nel Governo, convinto che, sul lavoro, abbiamo l’anello (del Vertice) al naso. Non credo che sia il premier Enrico Letta, che, se non altro per essere brevemente stato parlamentare europeo, conosce la terminologia europea; e non credo neppure che sia il ministro del lavoro Enrico Giovannini, che, per fare parte di un governo politico, sembra proprio un tecnico ammodo, preciso e preparato.

Chiunque sia, fatto sta che, ogni volta che si parla di piani per l’occupazione, e si aggiunge “specie quella dei giovani”, salta fuori ben strombazzato un vertice: c’era in principio il Consiglio europeo di fine giugno, il 27 e 28, a Bruxelles, che è proprio un Vertice, almeno ai sensi dell’eurocratese; poi s’è aggiunto il vertice di Berlino del 3 luglio, che non è un vertice, ma una riunione dei ministri del lavoro dei 27, per confrontare le migliori pratiche in tema di lavoro giovanile; e, adesso, da ieri, abbiamo il vertice dei 4 Grandi Ue, a Roma, il 14 giugno, che non è manco questo un vero vertice, bensì un incontro dei ministri delle finanze e del lavoro di Italia, Germania, Francia, Spagna (che, poi, a volere essere pignoli, non sono neppure i 4 Grandi Ue, perché c’è pur sempre la Gran Bretagna, fin quando non leva il disturbo).

Ora, nessuno vuole meritarsi la medaglia del pedante, solo perché i Vertici, nell’Ue, sono le riunioni dei capi di Stato e/o di governo. Ma nessuno vuole neppure passare per fesso: indire le riunioni, e chiamarle pure tutte vertici, va benissimo, se si producono risultati; ma se ci si limita a chiacchiere, allora potremmo pure risparmiarci i soldi degli incontri, che manco sono vertici.

Prendiamo l’appuntamento di Roma, aperto “da una colazione di lavoro con il premier italiano”. L’appuntamento, “il primo di questo tipo”, sottolinea un comunicato di Palazzo Chigi, “vuole essere l’occasione per uno scambio d’opinioni e per un coordinamento in vista dei prossimi impegni internazionali”, cioè, appunto il Consiglio europeo del 27-28 giugno, “nella cui agenda alta priorità è stata attribuita proprio al tema della crisi occupazionale”, l’evento di Berlino del 3 luglio e –fosse mai che ce la scordassimo- la riunione dei ministri del lavoro del G20 a Mosca di metà luglio.

Tradotto: a metà giugno, non aspettatevi decisioni, perché non ce ne saranno né potrebbero essercene. E, come vedremo, non aspettatevene troppe neppure subito dopo: l’incontro di Berlino, ad esempio, pare solo un modo per ridurre la pressione sui leader a fine giugno, dotando il Vertice d’una valvola di sfogo.

Intendiamoci. E’ positivo, pur se può apparire ovvio, che l’Italia, e tutta l’Unione, riconoscano che “un rapido miglioramento del mercato del lavoro è condizione indispensabile per rilanciare la crescita dell’economia europea”. Ed è pure positivo che l’Italia sia un crocevia della preparazione del Vertice di fine giugno: a metà mese, è atteso a Roma il presidente della Commissione europea José Manuel Durao Barroso, dopo la visita a fine maggio del presidente del Consiglio europeo Herman van Rompuy.

Il Governo Letta s’è impegnato a varare, prima del Vertice, un piano per il lavoro dei giovani e cerca appoggi e sponde per un’accelerazione dell’azione comune su crescita e occupazione. E, intanto, il premier e i suoi ministri impegnati sul fronte europeo cercano di stare al passo degli sviluppi istituzionali di cui Francia e Germania hanno parlato il 30 maggio per il rafforzamento della governance europea dell’Unione economica e monetaria.

L’attivismo diplomatico non va però scambiato, né gabellato, per concretezza dei risultati, che ancora non ci sono. Il New York Times titola oggi sulla “guerra debole” dell’Ue alla disoccupazione e scrive: “Gli schemi presentati in Italia e Spagna la scorsa settimana per combattere il problema somigliano tristemente al ‘programma di crescita’ di Hollande, che non è mai stato davvero di crescita”. 

Per Giovannini, la riunione a quattro “dimostra un cambiamento culturale in termini di approccio” al problema: “Se pensiamo che il mercato del lavoro segua sempre e soltanto il ciclo economico, dovremmo aspettarci prima una ripresa economica e poi un effetto sull’occupazione. Il fatto che si riconosca che la disoccupazione condiziona le scelte di famiglie, e quindi la ripresa economica, significa che bisogna far sì che anche nella fase iniziale della ripresa, nella seconda metà dell’anno, ci sia un’alta intensità di occupazione, cioè che la stessa riduzione della disoccupazione giovanile stimoli la crescita”.

Intellettualmente, è stimolante. Praticamente, significa aspettare, se va bene, perché accada qualcosa di concreto, “la seconda metà dell’anno”, che vuol dire da settembre in poi. Il che ci riconduce –sarà un caso- ad attendere per iniziative europee significative ed incisive le elezioni politiche tedesche del 22 settembre. E allora diciamolo che, aspettando allora, stiamo a ‘fare ammuina’: non c’è mica da vergognarsene, se non si può fare altrimenti.

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