Molti funzionari dei servizi segreti italiani hanno fedelmente servito la Repubblica rischiando la vita, e a volte donandola, per essa. Altri però l’hanno tradita, accettando ordini da potenze straniere e operando contro gli interessi e l’indipendenza d’Italia.

Ma questi contrastanti casi singoli sono ormai superati. I servizi segreti italiani sono adesso ufficialmente subordinati al tradimento, essendo sotto il controllo di un partito – la Lega nord – che è nato per tradire l’Italia, ucciderne i valori costituzionali e attentare anche con mezzi violenti (gli “armati” e le “pallottole” di Bossi) alla sua unità e indipendenza.
Gli uomini dei Servizi che dovessero, da questo momento in poi, comunicare notizia riservate al leghista Giacomo Stucchi violerebbero, a mio parere, i doveri della disciplina militare, se soggetti ad essa. Tali notizie infatti correrebbero serio rischio di finire in mano a nemici della Nazione.

La lealtà e fedeltà alla Repubblica – non a questo o quel governo contingente – deve guidare tutti e ciascun servitore dello Stato, e in particolare ogni componente delle Forze Armate, compresi quelli impiegati nei Servizi. L’osservanza di esse, in questo caso specifico, può richiedere scelte difficili e apparentemente non regolamentari. Ma molti ufficiali dei Carabinieri e della Marina, impiegati in servizi analoghi nel 1943, seppero rimanere fedeli, in circostanze drammatiche, agli interessi della Nazione e al giuramento militare. Il loro esempio dev’essere in questo momento presente alle coscienze di ciascun ufficiale e funzionario preposto ai servizi da cui dipende la sicurezza nazionale.
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E’ ovvio che Claudio Fava sia stato non solo escluso, ma pregiudizialmente rigettato dalla carica viceversa affidata all’eversore padano. Egli infatti su questi temi ha un’esperienza precisa, tecnicamente efficace e democraticamente orientata: nel 2009 The Economist lo proclamò “eurodeputato dell’anno” per il lavoro svolto come relatore nella Commissione d’inchiesta del Parlamento Europeo sulle “extraordinary renditions” della Cia. Questa esperienza sarebbe stata certo pericolosa per quanti intendono utilizzare i servizi in senso non democratico e italiano ma antidemocratico e asservito a stranieri.

Ancor peggio, Fava ha partecipato in prima linea, con grande impegno e con grave rischio personale, alla lotta contro i poteri mafiosi in Italia; non solo contro le cosche criminali ma anche contro le reti d’interessi politico-imprenditoriali di cui esse erano il braccio armato. Una sua presenza al vertice dei Servizi avrebbe dunque rischiato di dar forza alla lotta antimafia, altamente temuta dalla componente di destra dell’attuale governo, e abbandonata a se stessa da quella di centrosinistra.

Su ciò, avrebbero forse qualcosa da dire un Pio La Torre o un Enrico Berlinguer. Ma essi per fortuna tacciono, l’ordine regna in quello che un tempo fu il loro partito.

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