La Turchia è nel pieno di una crisi d’identità. Le recenti proteste di piazza Taksim, nate dapprima in difesa del parco cittadino Gezi, si sono propagate a tutto il paese. Quella che era una protesta “ambientalista” in realtà si è trasformata velocemente in una manifestazione per la libertà e contro il governo guidato ormai da un decennio da Tayyp Erdogan. Il partito sviluppo e libertà, che è al potere dal 2003, ha saputo accompagnare la crescita economica del paese. La Turchia è stata per anni la “tigre” del vicino Oriente, visto lo sviluppo del prodotto interno lordo nel corso dell’ultimo decennio.

Mentre nel biennio 2010-2011 l’Europa affannava nel mezzo delle due crisi, il paese guidato dal primo ministro Erdogan cresceva di quasi il 10 per cento annuo. Questo sogno è tuttavia venuto meno nel corso del 2012. L’economia ha infatti beneficiato dei forti investimenti pubblici fino al 2011, anno dell’ultima rielezione di Erdogan, ma lo scorso anno si è registrata una forte frenata. Il prodotto interno lordo è cresciuto di solo il 2,2 per cento, una delle peggiori prestazioni dell’ultimo decennio.

Il settore immobiliare, che per anni ha trainato l’economia, ha subito un brusco rallentamento, anche per la paura degli investitori di un surriscaldamento del settore stesso. L’economia turca è molto dinamica, ma è chiaro che le dinamiche sociali e le proteste attuali hanno un impatto molto forte sulle aspettative degli investitori internazionali. La caduta della Borsa di Istanbul è di oltre il tredici per cento dai momenti poco precedenti all’inizio della protesta.

La Turchia inoltre rimane un paese con la bilancia di parte corrente fortemente deficitaria, pari al 6 per cento, e questo significa che il paese è molto vulnerabile alla fiducia degli investitori stranieri. La protesta attuale ha dunque un forte impatto sull’economia, ma è anche il peggioramento delle prospettive economiche che ha portato in un certo senso alla situazione attuale. Non è un caso che diverse banche segnalino la possibilità della svalutazione della lira turca nei prossimi mesi.

I giovani turchi che si sono radunati nelle piazze di Istanbul, Ankara, Smirne e nelle principali città turche, protestano per il restringimento delle libertà personali. La “rivoluzione” turca nasce appunto all’ennesima decisione del Governo Erdogan di restringere il campo delle libertà individuali, in particolare il divieto a bere alcolici dopo le ore 22. Una decisione fortemente connotata dal carattere religioso, dato che il partito sviluppo e libertà per certi versi ricorda molto la democrazia cristiana italiana dei decenni scorsi, ma in “versione islamica”. La Turchia tuttavia è sempre stato un paese laico, dove il “padre della patria” Ataturk Kemal ha introdotto già negli anni Venti il voto alle donne. Lo stesso divorzio è stato introdotto in Turchia circa cinquant’anni prima che in Italia. Ma quale è la relazione tra richiesta delle libertà ed economia? Quando si arriva ad un certo livello di reddito nazionale, la “tensione” verso la libertà aumenta e nel momento in cui la crescita economica rallenta, la richiesta di libertà sarà ancora più forte.

Non è allora un caso che in Turchia i giovani si ribellino ad un Governo che sta procedendo in direzione illiberale e che al contempo è causa del rallentamento economico. La crescita dell’economia degli scorsi anni è stata probabilmente guidata da un eccessivo uso delle risorse pubbliche e adesso, nel mezzo della crisi europea, la Turchia si ritrova nel guado. La “rivoluzione” di piazza Taksim indica questo forte malessere che respirano i giovani. Un’aria dove i lacrimogeni o gli “orange gas” lanciati della polizia sembrano poca cosa rispetto alle sfide che attendono il paese turco nelle prossime settimane. I giovani turchi, avvolti nella rossa bandiera nazionale, possono diventare il simbolo di una rivoluzione che indica come libertà ed economia non possono essere due elementi slegati.

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