“Di me molti conoscono soltanto le chiacchiere e le polemiche. Ma io non sono qui per fare chiacchiere, proclami o polemiche, per me sterili, ma perché ho qualcosa di concreto da offrirvi. Fin da quando ero bambina ho sempre avuto la passione per il disegno, ricordo che mamma e papà cercavano sempre di procurarmi album e matite ovunque eravamo e dovunque stavamo. Io ero piccola e non capivo, però mi entusiasmava l’idea che ad ogni nuova residenza c’erano ad attendermi matite ed album nuovi, da riempire con pesciolini, lumachine, farfalline e tutto quello che la fantasia di una bambina di 6-7 anni poteva partorire”.

Mamma e papà sono Antonietta “Ninetta” Bagarella e Salvatore “Totò” Riina. A scrivere è l’ultimogenita dei due, Lucia. Ancora una volta, quindi, i figli di mafia tentano di balzare agli onori della cronaca per le loro “straordinarie” gesta. Parla di “chiacchiere” la figlia del boss, oggi impegnata attraverso il suo sito internet nella vendita di “souvenir” targati Riina. Omette però di dire che il padre è stato condannato con sentenza definitiva per i più efferati delitti mafiosi compiuti nella storia e che gli ergastoli sulle sue spalle ormai non si contano più: centinaia di morti ammazzati, enormi quantità di sangue innocente versato sulle nostre strade. Questo è Salvatore Riina. Altro che “chiacchiere”.

Difficilmente quindi l’operato e le buone intenzioni di Lucia Riina potranno commuovere qualcuno, dal momento che non ha mai – e dico mai – preso le distanze dagli atroci atti compiuti dal padre. E’ inconcepibile che il figlio di un feroce boss mafioso cerchi la compassione della pubblica opinione citando fantomatici “proclami”.

“Ad ogni nuova residenza c’erano ad attendermi matite ed album nuovi”, scrive. Come se il padre si fosse occupato di fare l’amministratore delegato di una grande azienda e non il latitante. Sono parole che fanno raggelare il sangue. La sensazione che prova il familiare di una vittima innocente, nel leggere questa sinistra sortita, è di essere preso in giro, dileggiato. Si tratta di una mancanza di rispetto degna soltanto di una persona che ragiona con mentalità mafiosa, a prescindere dal casellario giudiziale.

E’ un Paese alla rovescia quello in cui i figli delle vittime innocenti sono costantemente impegnati nella difesa della memoria dei propri cari, spesso infangata e oltraggiata, mentre i figli dei carnefici sottolineano, anche solo tra le righe, di avere la fedina penale pulita. Bisognerebbe che i “figli di mafia” comprendessero che non basta “differenziarsi” dai propri padri criminali, ma anche riconoscere e rinnegare pubblicamente la crudeltà e la disumanità di quei padri stessi.

Pertanto, se Lucia Riina vuole davvero apparire come una benefattrice, lontana dal pianeta criminale nel quale è cresciuta, non basterà devolvere il 5% delle sue vendite ad un’organizzazione come “Save The Children” (che, tra l’altro, ha smentito di aver avuto contatti con la figlia del boss e mi auguro rifiuti eventuali “offerte” da parte sua). Per riscattarsi almeno parzialmente, bisognerà che Lucia Riina riconosca di provenire da un mondo violento e ingiusto e che denunci all’autorità giudiziaria il suo patrimonio illecito, accumulato dalla sua famiglia per mezzo dello spargimento di tantissimo sangue innocente. Altrimenti, avrà fatto solo “chiacchiere”. Lei.

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