In cinquecento per difenderne quarantuno. Hanno risposto con una manifestazione nazionale i lavoratori della logistica alle lettere di licenziamento piovute su quei facchini che decisero di scioperare contro la Sgb, consorzio che gestisce i magazzini della Granarolo, “per chiedere un salario onesto e un trattamento dignitoso”. Accanto al Si Cobas, ai collettivi e al laboratorio Crash, in piazza c’erano dipendenti delle cooperative provenienti da tutta Italia, da Milano a Napoli, giovani e lavoratori, studenti e precari, perché “il trattamento ricevuto a Bologna dai nostri colleghi avviene in tutto il paese: cose da terzo mondo. E pensare che Granarolo e Coop Adriatica sono due fiori all’occhiello della sinistra di questa città, storicamente rossa”.

“La nostra categoria lavora duramente, ci spacchiamo la schiena nei magazzini dove transita la merce che finisce nei supermercati, eppure siamo invisibili – racconta Abdel Ghani, ex dipendente della Sgb, licenziato per aver protestato contro l’azienda – il padrone ha inventato una fantomatica crisi che però sui bilanci non c’è, mentre sulla busta paga si è tradotta in un – 35% di stipendio. Circa 600 euro in meno ogni mese. E quando abbiamo alzato la testa prima siamo stati sospesi, poi cacciati”. Licenziati, perché per i lavoratori della logistica bolognese scioperare è diventato un “atto proibito”. Secondo il parere della Commissione di Garanzia, che sugli scioperi si è pronunciata dopo la richiesta della prefettura, i prodotti Granarolo sarebbero “essenziali per la collettività” quindi “lo sciopero nella logistica deve essere regolamentato e, di fatto, i licenziamenti sono giusti”. Un po’ come per il trasporto pubblico. “Un pronunciamento per noi assurdo – spiega Eleonora del Laboratorio Crash – a parte che delle due, sono i lavoratori a essere essenziali, non lo stracchino della Granarolo. E poi è anche un limite al mercato. È come dire che senza il latte di quella marca si crea un problema per la collettività”.

Il corteo si è dato appuntamento in piazza Nettuno e poi i manifestanti hanno sfilato lungo via Indipendenza, in prima fila uno striscione scritto con inchiostro rosso: “Né divieti né repressione fermeranno gli scioperi. Avanti fino alla vittoria”, “Scarichiamo la crisi dei padroni”. Con sé i facchini avevano portato anche degli scatoloni, ma impresso non c’era il marchio dell’azienda produttrice. “Noi che per anni abbiamo scaricato scatoloni per la Granarolo, ora siamo qui per scaricare loro” gridano i lavoratori, che hanno lanciato una campagna per boicottare i prodotti del colosso del latte. “Non chiediamo la luna – spiegano – solo un salario sufficiente a vivere, la possibilità di passare di livello in funzione dell’anzianità di servizio e un contratto equo, senza sotterfugi”.

“Io ho una famiglia, e dopo anni di lavoro mi hanno mandato via solo perché ho cercato di far valere i miei diritti, perché ho chiesto che anche alla mia categoria fosse applicato il contratto nazionale – spiega Youssef – ma che potevo fare? Guadagnavo 800 euro, e 400 me li avevano tolti per una fantomatica clausola anticrisi, come potevo pagare l’affitto? Non mi aspettavo che in Italia la situazione fosse questa”.

I manifestanti hanno poi proseguito lungo via dei Mille, bloccando il traffico per alcuni minuti prima di sostare davanti alla Camera del Lavoro e gridare slogan al megafono contro la Cgil e i sindacati confederali. “Se dicessero la verità, su questo palazzo ci sarebbe scritto ‘sindacato dei padroni’. Nessuno di loro ci ha difeso quando siamo stati licenziati. Sono collusi con le aziende”. “Quando siamo stati sospesi, prima che arrivassero i licenziamenti, Cgil, Cisl e Uil, che peraltro hanno firmato lo stato di crisi che ci costa il 35% dello stipendio, ci hanno detto che se avessimo chiesto scusa e avessimo stracciato la tessera del Si Cobas per scegliere loro come rappresentanti saremmo stati reintegrati. Tre ragazze rumene l’hanno fatto, e tre giorni dopo le hanno mandate via. Sono questo i sindacati italiani?”.

Parole dure che i facchini hanno rivolto anche al prefetto Angelo Tranfaglia, “complice” in quel pronunciamento che “pone un limite alla nostra libertà”, contro al questore Vincenzo Stingone e al sindaco Virginio Merola. “Perché a Bologna non vince le elezioni chi non è ben visto dalle cooperative, che poi sono lasciate libere di fare ciò che vogliono” spiegano i facchini. E prima di sciogliere il corteo formulano una promessa. La manifestazione di oggi, infatti, è solo il primo atto, seguirà, il 15 giugno, un ‘convegno sul diritto di sciopero’: “risponderemo incrociando le braccia agli attacchi che i padroni mettono in atto contro i lavoratori – sottolinea Fulvio di Giorgio, delegato Si Cobas – attacchi quotidiani fatti di buste paga da galera, di irregolarità contrattuali che sfociano spesso anche in reati, come lo sfruttamento del lavoro e l’intermediazione di manodopera. Fino a ora i facchini sono rimasti invisibili, chiusi nei magazzini, ma oggi sono scesi in piazza per dire basta. Basta al caporalato. Basta alla condizione di schiavitù a cui spesso sono costretti. Basta a salari da fame”. 

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