Certo, ieri sera tardi, ad Arcore, quando i dati sono diventati definitivi e la fotografia del territorio ha rilasciato un’immagine a dir poco sfocata dell’impresa del Pdl, il Cavaliere non si è infuriato come qualcuno prevedeva. Sulle amministrative ha sempre avuto un approccio disincantato, ma certo sentire che l’amico di sempre, Claudio Scajola, è ad un passo dal vedersi scippare il feudo di Imperia e che in alcune roccaforti del nord come Brescia e Sondrio l’arretramento è stato vistoso, non lo hanno certo fatto gioire. A preoccuparlo, più che altro, l’ennesima deblacle della Lega, con Treviso e Vicenza perse in modo pesante al punto da rendere il Carroccio ininfluente – di fatto – nelle grandi realtà comunali del nord.

Una questione che lo ha fatto riflettere sulla strategia futura: Maroni ha portato la Lega ai minimi storici, ora l’alleanza è diventata più un orpello che altro. Eppoi, in ultimo, Siena. Dove proprio non se l’aspettava che Bruno Valentini e la sinistra, dopo lo scandalo Mps, avrebbero fatto bingo. Geografie da rivedere e sondare con grande attenzione, anche se il Cavaliere l’aveva messo in conto di dover pagare un piccolo, grande tributo alle larghe intese, fino a considerare come un rischio calcolato la possibilità di qualche brutta sorpresa. Alemanno e la sconfitta a Roma, la peggiore, in fondo, di questa tornata amministrativa.

La frenata del sindaco di Roma, però, gli era stata in qualche modo annunciata da più di un collaboratore, ma i dati lo hanno comunque scioccato. Così, quel che davvero sembra aver più colpito il Cavaliere (che ieri , come si diceva, ha seguito lo spoglio da Arcore, dove potrebbe restare tutta la settimana) è il flop del M5S, il fatto che la strategia di Grillo inizi a non pagare più. Lui che la stava osservando con grande attenzione, traendone auspici per il suo, personale futuro. E questo lo ha portato a ragionare apertamente con Verdini sulla strategia che aveva messo nel cassetto come piano B in caso di condanna definitiva al processo Mediaset via Cassazione: continuare ad essere leader del centrodestra da fuori del Parlamento, proprio come Grillo (anche lui un condannato incandidabile), lasciando a Daniela Santanchè la leadership carismatica del Pdl nelle aule. E nelle urne. Già, perché l’idea è proprio quella di passare il testimone alla “signora Sallusti” in caso di chiusura negativa della partita giudiziaria.

Ecco, appunto, la Santanchè. “Giubilato” Angelino Alfano come delfino, messo non a caso a reggere il governo di larghe intese, per il partito e la strategia futura elettorale Berlusconi non potrebbe contare su elemento migliore della Santanchè che, non a caso, in questi ultimi giorni spopola in tv con il nuovo volto della destra dalle idee chiare e che si spende per il bene del Paese, benché oberata da un’alleanza con il Pd difficile da digerire e su cui è già stato messo in conto di perdere terreno elettorale. Anche a destra l’elettorato non è meno spietato che a sinistra. Ma la strategia arcoriana è piuttosto semplice, dopo tutto. Se Berlusconi dovesse avere la condanna definitiva, la Santanchè diventerebbe il leader politico del Pdl da spendere in Parlamento. Non tutti, è bene dirlo, sono d’accordo con questa scelta di Berlusconi. La parte più dialogante e centrista del partito, formata dai Lupi ma anche dalle Prestigiacomo e De Girolamo, difficilmente potrebbe digerire che un “falco puro” come la Santanchè possa dirigere l’orchestra pidiellina nelle aule in assenza del Cavaliere. Però l’alternativa è Renato Brunetta. E, insomma, c’è di peggio. Avanti la Santanchè, dunque, anche se la costruzione della strategia politica, di qui a tre, quattro mesi, vedrà il Cavaliere giocare sostanzialmente d’attesa. Non solo dei processi, ma anche della tenuta complessiva del governo.

Se, infatti, incassato il via libera sulla caduta della procedura d’infrazione europea, l’esecutivo dovesse centrare alcuni obiettivi, poi sarebbe difficile azzopparlo e portare il Paese alle urne ad aprile prossimo, in contemporanea con le europee. Ma è comunque bene giocare d’anticipo. La sconfitta di Grillo, d’altra parte, insegna: non si contruiscono né leader, né parlamentari, né tantomeno alternative politiche dal nulla e improvvisamente. Ci vuole tempo, altrimenti l’elettorato, alla prima delusione, volta le spalle. E, dunque, è bene che la Santanchè cominci fin da ora a costruire la propria credibilità di leader dentro il partito e nell’elettorato. Attraverso la tv, ma non solo; ci vuole anche il territorio. Intanto, nelle prossime settimane sarà lei a portare alta la bandiera della pressione sul governo per ottenere risultati da dare in pasto all’elettorato scontento e disaffezionato. Lo ha detto chiaramente, anche ieri, un altro falco come Fabrizio Cicchitto: “Quello che ci interessa e ci fa giudicare la validità dell’esecutivo è la capacità di fare le riforme, economiche e politiche. A questo stiamo guardando”. Dunque, se non è prevedibile un allentamento del sostegno al governissimo Letta, è certo che il Pdl incalzerà chiedendo “misure forti, decisive, convincenti”, per l’immediato, perché è alla “realizzazione dei fatti” che è appesa la vita di questo esecutivo bizzarro e il futuro politico del partito. Ma il volto che chiederà con forza queste misure non sarà quello del Cavaliere. Sempre più spesso ci sarà Daniela Santanchè.

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