L’Italia non cessa mai di stupire. Mentre si discute sull’opportunità per gli stranieri di acquisire la cittadinanza (e tutti i diritti a essa connessi, compresa l’assistenza sanitaria) “iure soli” (in base cioè al solo fatto di essere nati sul territorio nazionale), alcune categorie di cittadini italiani residenti all’estero perdono di fatto lo “ius sanguinis” e scoprono di non aver diritto, quando rientrano in Italia, all’assistenza sanitaria gratuita. “All’inizio non credevo alle mie orecchie, ma ho dovuto rassegnarmi. E’ proprio così. Anche se italiano a tutti gli effetti, ho scoperto che mio figlio, solo per il fatto che non è nato in Italia, non ha diritto all’assistenza sanitaria – spiega Sara Marmo, che da anni vive e lavora in Giappone per un ditta di import-export – Prima di venire in Italia sono andata regolarmente all’Ambasciata per farmi rilasciare l’attestato necessario per usufruire dell’assistenza sanitaria (valido per massimo 90 giorni, ndr) dove oltre al mio nome c’è anche quello di mio figlio, che ha meno di un anno – racconta la signora Marmo – ma all’Asl di Firenze, dove mi ero rivolta per un esame, mi è stato detto che solo io ho l’assistenza, mio figlio no. Perché non è nato in Italia”.

E’ possibile? Uno pensa si tratti di un errore, di una interpretazione sbagliata. E’ invece, in attesa che venga riconosciuto lo “ius soli”, ecco la solita “sòla” all’italiana. “E’ vero, è capitato anche a noi – conferma Cristina Morini, anche lei da anni residente in Giappone – Io ho due figli. Uno nato in Italia, che ha diritto all’assistenza, la seconda, nata qui in Giappone, che invece ne è esclusa. Le autorità? Cadono dalle nuvole. “Non ci risulta – spiegano all’ambasciata italiana che ha tuttavia promesso di verificare al più presto la questione – i cittadini italiani residenti all’estero, e regolarmente iscritti all’Aire (il registro dei residenti esteri) hanno diritto all’assistenza sanitaria in Italia, anche se solo per un massimo di 90 giorni”.

A ben guardare, invece, le cose non stanno così, la “sòla” c’è eccome. Nero su bianco. Basta andare sul sito del ministero della salute, alla voce “cittadini italiani residenti all’estero”. Dove si legge chiaramente che la deroga al Decreto ministeriale 1 febbraio 1996 (in base al quale gli italiani che “emigrano” in un Paese sprovvisto di convenzione sanitaria perdono il diritto all’assistenza) si applica solo ai cittadini nati in Italia. Una furbata? Una svista? Errore materiale? Qualcuno sostiene che il legislatore abbia voluto deliberatamente evitare che centinaia di migliaia di italiani di seconda e terza generazione, nati all’estero (soprattutto in Sudamerica) potessero venire in massa a curarsi in Italia. Il tutto sembra comunque molto complicato (pare che ogni regione interpreti queste norme a modo suo: Lazio e Veneto sembra siano le più “generose”) e rischia di trasformarsi in un calvario per il cittadino residente all’estero che, improvvisamente, avesse bisogno di cure in Italia. Per la maggior parte infatti la “sòla” colpisce i bambini e, indirettamente, i genitori che rischiano di accorgersene solo al momento dell’emergenza. Non sarà certo una priorità, di questi tempi, ma forse è bene che qualcuno ci metta le mani. O no?

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