Fonti rinnovabili e centrali a gas in guerra tra loro. La crisi ha falcidiato i consumi, seminando perdite e nervosismo in un settore ricco come quello elettrico. Intanto eolico e solare sono cresciuti, togliendo spazio agli impianti convenzionali e pesando sui consumatori attraverso gli incentivi. Tanto che oggi c’è chi ne chiede un taglio retroattivo. Ma a beneficio di chi?

Lo scontro tra gas e fonti verdi è chiaro dal 2011. Da un lato la domanda elettrica in calo per l’economia stagnante, con conseguente crollo dei margini per i produttori convenzionali. Dall’altro il boom del fotovoltaico (+450% sul 2010), che ha sottratto quote di mercato alle centrali a gas, molte nuovissime e quindi ancora da ammortizzare.

A spingere lo sviluppo del solare sono stati gli incentivi. Tariffe premianti che hanno calamitato gli investitori e accresciuto di molto l’importanza delle rinnovabili nel sistema energetico italiano. Ma che nel contempo hanno prodotto un ingente cumulo di oneri per le nostre bollette: oltre 9 miliardi di euro l’anno, di cui più di 6 solo per il solare. Un conto lievitato nonostante il parallelo calo dei costi della tecnologia.

Da qui l’idea di ridurre i sussidi. Un primo taglio c’è stato nel 2012: il governo Monti ha fissato un tetto massimo di 6,7 miliardi (oggi praticamente raggiunto) agli incentivi al fotovoltaico. Una moratoria pesante, passata tra le proteste di ambientalisti e imprese del settore solare. Ma che faceva salvi i “diritti acquisiti“, ossia i sussidi concessi fino a quel momento. Oggi invece si discute di un intervento retroattivo: l’idea è che in tempo di crisi non sia più accettabile conservare tariffe premianti tanto elevate e distanti dai costi di investimento, il tutto a carico dei consumatori finali.

Il taglio retroattivo conta sostenitori autorevoli: gli economisti Francesco Giavazzi e Alberto Alesina, l’ex ministro dell’Ambiente, Corrado Clini. E anche per il presidente dell’Autorità per l’energia Guido Bortoni bisogna ridurre gli oneri in bolletta e tagliare le rendite ingiustificate. Oltre all’ovvio tifo dell’associazione dei produttori elettrici convenzionali, Assoelettrica.

Ma a beneficio di chi andrebbe il taglio? Dovrebbe servire a ridurre le loro bollette, ma non tutti i sostenitori della sforbiciata retroattiva sembrano pensarla così. E se ridurre gli incentivi vigenti servisse solo a finanziare un’altra voce della bolletta, ad esempio il cosiddetto capacity payment? Si tratta della remunerazione aggiuntiva che molti produttori chiedono per le centrali a gas (oggi sottoutilizzate per la crisi e il boom del solare) giustificato dal contributo che danno alla sicurezza e alla capacità di riserva del sistema elettrico.

In un’intervista alla Staffetta Quotidiana il presidente di Assoelettrica, Chicco Testa, ha spiegato che le risorse per il capacity payment dovrebbero essere poste a carico di “chi crea le disfunzioni. Se devo garantire la riserva a un impianto fotovoltaico mi sembra giusto che sia l’impianto fotovoltaico a pagarla”. Attraverso un prelievo dagli incentivi vigenti, appunto. La decisione spetta all’Autorità per l’energia, ma è chiaro che in questo caso al consumatore non tornerebbe indietro nulla. Come nulla gli tornerebbe se il governo optasse per una Solar Tax, cioè un prelievo dagli incentivi a beneficio del bilancio dello Stato. L’ipotesi circolava già ai tempi di Monti e, in una fase di ricerca spasmodica di coperture come l’attuale, la tentazione torna forte. L’utilizzo della bolletta elettrica come un bancomat non sarebbe una novità: già nel 2004-05 l’ex ministro Giulio Tremonti decise di dirottare all’erario 135 milioni all’anno di fondi per il decommissioning nucleare raccolti con le tariffe elettriche. La norma doveva essere “transitoria”, ma la revoca non è mai arrivata. 

Da Il Fatto Quotidiano del 22 maggio 2013

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