Facebook è sotto accusa per i messaggi di odio contro le donne che appaiono sulle sue pagine. La blogger e attivista inglese Laura Bates, fondatrice del progetto “Il sessismo di ogni giorno”, una raccolta di oltre 10mila esperienze di donne sulla discriminazione di genere, appoggiata da oltre 40 associazioni internazionali, ha avviato una campagna per costringere il social network a rivedere le sue politiche su messaggi, immagini e video apertamente misogini. In una lettera aperta appena pubblicata online, firmata da lei, Soraya Chemaly e Jaclyn Friedman e ripresa dal Guardian e dall’Huffington Post, vengono fatte a Facebook tre richieste specifiche. La prima è che i responsabili del social network si impegnino a riconoscere e a non tollerare alcun tipo di messaggio che banalizzi o esalti la violenza contro le donne. La seconda è che i moderatori del social network vengano formati per riconoscere e rimuovere ogni discorso contenente odio. La terza è che i moderatori vengano educati a capire che i messaggi di odio che passano online hanno effetti diversi su uomini e donne, dato che c’è una grande diffusione di violenza quotidiana contro le donne nel mondo reale. 

Questo è il primo passo per una campagna più ampia, scrive il Guardian, che prevede che gli utenti contattino gli inserzionisti ogni volta che vedono una pubblicità sotto contenuti che offendono le donne. Non si capisce perché, si legge sulla pagina della petizione, il social network si sia opposto a contenuti islamofobici, omofobici, antisemiti e invece contro la misoginia non faccia nulla. Le attiviste denunciano, infatti, che continuano a restare online pagine dal titolo “Picchiare la tua ragazza perché non vuole farti un panino è divertente” oppure “Stupra la tua amica solo per scherzo” e che circolano foto di donne picchiate, drogate, sanguinanti con didascalie come “La stronza non sapeva che doveva fare silenzio” e “La prossima volta non restare incinta”. 

Non è la prima volta che Facebook si trova al centro delle polemiche per i contenuti misogini. Già nel 2011 c’era stata una campagna contro le pagine pro stupro che apparivano online con titoli raccapriccianti. Dopo due mesi di proteste, inclusa una petizione con oltre 100mila firme, Facebook ha rimosso i contenuti. Ma il problema non è stato risolto. Bates racconta che qualche settimana fa le è stato inviato un video di animazione molto realistico di una donna che veniva decapitata, con dettagli del viso terrorizzato della vittima e dell’uomo che, con un coltello, le tagliava la testa. Dopo avere visto il video, che non è stato immediatamente rimosso da Facebook, Bates ha pianto per due giorni e si è dovuta rivolgere a uno specialista in counseling post traumatico. 

La blogger del Guardian dice di sapere che il problema è complesso ma che comunque va trovata una soluzione. Sono moltissimi i messaggi che le arrivano da genitori preoccupati per i messaggi di odio e violenza a cui sono esposti i loro figli. La campagna è appena cominciata. Il Guardian fa sapere che ha contattato il responsabile della comunicazione di Facebook Inghilterra che ha comunicato che non è ancora stata formulata una risposta alla lettera aperta delle attiviste.

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