Erano quasi 15 milioni a fine 2012 gli individui in condizione di deprivazione o disagio economico. Una somma che rappresenta circa il 25% della popolazione italiana (40% al Sud). Il dato emerge dal rapporto Istat, in cui si sottolinea che in grave disagio sono invece 8,6 milioni di persone, cioè il 14,3% del totale, con un’ incidenza più che raddoppiata in 2 anni (6,9% nel 2010).

I CAMPANELLI D’ALLARME DEL DISAGIO SOCIALE. I segnali di disagio sono nove: non poter sostenere spese impreviste, non potersi permettere una settimana di ferie all’anno lontano da casa, avere arretrati per il mutuo, l’affitto, le bollette o per altri debiti come per esempio gli acquisti a rate; non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni, cioè con proteine della carne o del pesce (o equivalente vegetariano); non poter riscaldare adeguatamente l’abitazione; non potersi permettere una lavatrice; un televisore a colori; un telefono; un’automobile.

In particolare, rileva l’Istat, continua a crescere in modo consistente la quota di individui che dichiarano di non potersi permettere un pasto adeguato (16,6%), quota triplicata in due anni. Le persone che affermano di non poter riscaldare adeguatamente l’abitazione (21,1%) sono raddoppiate in due anni e coloro che dichiarano di non potersi permettere una settimana di ferie in un anno rappresentano ormai la metà del totale (50,4% rispetto al 46,7% del 2011).

Gli individui che vivono in famiglie che non possono sostenere spese impreviste di un importo relativamente contenuto raggiungono il 41,7% (erano il 38,6% nell’anno precedente). Il divario tra il Mezzogiorno e il resto del Paese continua ad aumentare anche nel 2012. Nelle regioni del Mezzogiorno la deprivazione materiale, aumentata di oltre tre punti percentuali, colpisce il 40,1% della popolazione, mentre la grave deprivazione, con un aumento di oltre cinque punti, riguarda ormai una persona su quattro (25,1%).

Nel 2012 si conferma quindi una tendenza già evidenziata nel 2011: la grave deprivazione materiale comincia a interessare non solo gli individui con i redditi familiari più bassi, ma anche coloro che dispongono di redditi mediamente più elevati. Nel 2012, circa il 48% degli individui che cade in condizione di severa deprivazione materiale proviene dal primo quinto di reddito equivalente, ma più di un quarto di essi nell’anno precedente si collocava nei quinti di reddito più elevati (dal terzo in poi).

SI TAGLIA ANCHE SUL CIBO. La situazione è a un punto tale che le famiglie italiane che, tra il 2011 e il 2012, hanno ridotto la qualità o la quantità degli alimentari acquistati, è aumentata dal 53,6% al 62,3% e nel Mezzogiorno arriva a superare il 70%. Si tratta soprattutto di famiglie che diminuiscono la quantità (34,9% nel Nord e 44,1% nel Mezzogiorno), ma una percentuale non trascurabile, e in deciso aumento, è anche quella di chi, oltre a diminuire la quantità, riduce anche la qualità dei prodotti acquistati.

Del resto nel 2012 il potere d’acquisto delle famiglie italiane ha registrato una caduta “di intensità eccezionale” (-4,8%). Al calo del reddito disponibile (-2,2%) è corrisposta una flessione del 4,3% delle quantità di beni e servizi acquistati, la caduta più forte da inizio anni ’90. E il potere d’acquisto è in declino daormai un quadriennio. “A questo andamento hanno contribuito soprattutto la forte riduzione del reddito d’attività imprenditoriale e l’inasprimento del prelievo fiscale”, spiega l’Istat. Ecco alcuni dei segni più evidenti lasciati dalla crisi, a riprova dell’indebolimento economico delle famiglie: tra il 2008 e il 2012, i residenti hanno effettuato il 36% di viaggi in meno e hanno ridotto del 29,1% le notti trascorse in viaggio, soprattutto per motivi economici.

E non si taglia solo sulle vacanze. Uno dei settori più colpiti dalla recessione è il mercato del mattone: i volumi delle compravendite segnalano in tutti i segmenti la più ampia riduzione su base annua degli scambi dal 2004. Complessivamente nel 2012 i passaggi di proprietà di unità immobiliari si sono ridotti del 22,6%. In flessione risultano anche i prezzi degli immobili residenziali acquistati dalle famiglie per scopi abitativi e di investimento che, nell’ultimo trimestre dell’anno, sono scesi del 4,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Non è stato così per i prezzi al consumo: nella media del 2012 l’inflazione si è attestata al 3%, due decimi di punto in più rispetto al 2011. La crescita dei prezzi al consumo in Italia è risultata fra le più sostenute nell’eurozona, inferiore solo a quella di Slovacchia e Estonia. Tuttavia, nei primi mesi del 2013 il processo di rientro dell’inflazione si è intensificato e la distanza con l’inflazione media dell’area dell’euro si è annullata.

Intanto il fisco pesa sempre più sui bilanci familiari. ”L’incidenza delle imposte correnti sul reddito disponibile delle famiglie è salita al 16,1%”, si legge nel rapporto che precisa che si tratta del livello più alto dal 1990.”Se al prelievo fiscale corrente si aggiungono le altre imposte, rappresentate essenzialmente dall’Imu, l’incidenza del prelievo sul reddito disponibile sale al 16,5% con un incremento di 1,3 punti percentuali rispetto al 2011”, si spiega nel documento. “Considerando i contributi sociali effettivi e figurativi, l’incidenza del carico fiscale e contributivo corrente sul reddito disponibile tocca il 30,3% a fronte – sottolinea l’Istat – del 29,4% del 2011”.

DISOCCUPAZIONE MEDIA DI 21 MESI. Sul fronte occupazionale, il rapporto rileva come tra il 2008 e il 2012 i disoccupati sono aumentati di oltre un milione di unità, da 1,69 a 2,74 milioni, ma è cresciuta soprattutto la disoccupazione di lunga durata, ovvero il numero delle persone in cerca di lavoro da almeno 12 mesi (+675.000 unità) che ormai rappresentano il 53% del totale (44,4% la media Ue). L’Istat segnala che la durata media della ricerca di lavoro si è portata a 21 mesi nel 2012 con differenze forti tra territori (15 mesi nel Nord e 27 mesi nel Mezzogiorno) e soprattutto per fasce di età con la durata media dell’attesa per le persone in cerca di prima occupazione di 30 mesi. La crescita della disoccupazione si è accompagnata a una marcata riduzione dell’area dell’inattività con più giovani e soprattutto più donne che partecipano al mercato, ma anche con meno adulti che vanno in pensione.

Il numero di persone potenzialmente impiegabili nel processo produttivo si avvicina ai 6 milioni di individui se ai disoccupati si sommano le forze di lavoro potenziali. Si tratta di 3 milioni e 86mila individui che si dichiarano disposti a lavorare anche se non cercano oppure sono alla ricerca di lavoro, ma non immediatamente disponibili e per questo inclusi tra gli inattivi. All’aumento della disoccupazione è corrisposta la riduzione dell’inattività. La crescita della disoccupazione è dovuta in sei casi su dieci ai lavoratori che hanno perso il posto di lavoro e ne cercano uno nuovo. Intanto solo il 57,6% dei giovani laureati o diplomati italiani lavora entro tre anni dalla conclusione del proprio percorso di formazione. L’obiettivo europeo nel 2020 è fissato all’82% mentre il valore medio europeo dell’indicatore nel 2011 è stato pari al 77,2%. In Italia, l’indicatore è al 57,6% quasi 20 punti percentuali in meno.

PIU’ DONNE E ATIPICI, MENO “TIPICI”. Tra il 2008 e il 2012 si sono persi 506.000 posti di lavoro ma con differenze consistenti tra le tipologie. Dall’inizio della crisi sono diminuiti di 950.000 unità gli occupati standard (a tempo pieno e indeterminato sia dipendenti che autonomi) mentre sono aumentati di 425.000 unità quelli part time. Gli atipici (collaboratori e contratti a termine) sono cresciuti di 20.000 unità. Il calo di 506.000 occupati è da imputare nella gran parte alla componente maschile con 623.000 posti persi nel complesso in 4 anni (-852.000 standard) mentre per le donne si registra un aumento da 2008 al 2012 di 117.000 posti (-98.000 standard).

Del resto le famiglie con figli in cui nella coppia solo la donna lavora sono passate da 224mila nel 2008 (5% del totale) a 381mila nel 2012 (8,4%), in aumento del 70%. Rilevante è il rialzo dell’occupazione femminile nelle coppie in cui l’uomo è in cerca d’occupazione o disponibile a lavorare (+51mila sul 2011, +21,2%) o è cassintegrato (+20mila, cioè +53,9%). Ma il lavoro delle donne è meno pagato: la retribuzione netta mensile delle dipendenti è inferiore del 20% rispetto agli uomini.

Quanto alle tipologie di mestieri, tra il 2008 e il 2012 si sono persi oltre 500.000 posti di lavoro (-2,2%) con un calo degli artigiani e degli operai specializzati, ma anche delle professioni qualificate, mentre sono aumentate quelle solo esecutive (soprattutto addetti all’assistenza personale e commessi). Dirigenti e imprenditori, invece, sono calati nel periodo di 449.000 unità (-42,6%), quasi 100.000 solo nel 2012 (nella maggior parte dei casi piccoli imprenditori e dirigenti d’azienda).

MA LA QUALITA’ DELLA VITA MERITA LA SUFFICIENZA. Nonostante la carrellata di numeri che parlano da soli, per gli italiani la qualità della vita merita una sufficienza piena – 6,8 – a dispetto della crisi che pure pesa come un macigno. Se la recessione sta, infatti, incidendo pesantemente sulla componente di soddisfazione che interessa la propria condizione economica, diverso è l’andamento per gli altri aspetti del benessere individuale: relazioni familiari e amicali, salute, tempo libero.

Tra il 2011 e il 2012 la soddisfazione dei cittadini per la propria situazione economica è diminuita di 5,7 punti percentuali: nel 2012 ha dichiarato di essere soddisfatto per questo aspetto solo il 42,8% della popolazione over 14 anni. Inoltre è aumentata la percentuale dei “poco soddisfatti” (dal 36,1% al 38,9%) e soprattutto quella dei “per niente soddisfatti” (dal 13,4% al 16,8%). Si è anche ampliato il divario tra regioni settentrionali e meridionali: la quota di soddisfatti della propria situazione economica passa dal 50% del Settentrione, al 44,3% del Centro e al 32% del Sud e Isole.

A fronte di ciò, però, le persone di 14 anni e più che nel 2012 si dichiarano molto soddisfatte per le relazioni familiari sono il 36,8% (nel 2011 erano il 34,7%), per le relazioni amicali tale quota è pari al 26,6% (24,4% nel 2011). E pure la soddisfazione per la salute è molto diffusa nonostante l’elevata età media della popolazione: l’80,8% degli individui esprime un giudizio positivo, percentuale sostanzialmente stabile nel tempo nonostante l’invecchiamento della popolazione. Anche la soddisfazione per il tempo libero, che nell’ultimo decennio si è costantemente assestata su quote rilevanti (intorno al 63%) è aumentata: i molto soddisfatti passano dal 13,4% del 2011 al 15,6%.

Gli italiani mostrano pure di avere una buona riserva di ottimismo. Guardando al futuro, il 24,6% pensa che la propria situazione personale migliorerà nei prossimi cinque anni, il 23,5% ipotizza un peggioramento, il 23,3% dichiara uno stato di dubbio e incertezza, mentre il 28,5% ritiene che la situazione resterà uguale. Nonostante siano particolarmente colpiti dalla crisi, i giovani fino a 34 anni si mostrano più ottimisti degli altri: il 45% ritiene che la propria situazione migliorerà.

VOTO 2 AI PARTITI, 8 AI VIGILI DEL FUOCO. Diffusa insoddisfazione, invece, verso il Parlamento e i partiti politici: in una scala da zero a 10, giudizi positivi vengono attribuiti soltanto alle forze dell’ordine e ai vigili del fuoco. Secondo l’Istat un voto da 8 a 10 viene assegnato dal 66,2% della popolazione di 14 anni e più ai vigili del fuoco (punteggio medio 8,1), dal 34% alle forze dell’ordine (6,5), dal 4,8% al Parlamento italiano (punteggio medio 3,6) e solo dall’1,5% ai partiti politici, che ricevono come punteggio medio 2,3. La fiducia nelle istituzioni locali si colloca ad un livello intermedio: al governo regionale e provinciale viene assegnato dai cittadini un punteggio medio pari a 3,7, a quello comunale 4,5.

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