Con 572 voti a favore e 103 contrari, ieri il Parlamento europeo ha approvato la direttiva sui limiti alle perforazioni offshore in condizioni estreme. È solo il primo passo per proteggere ecosistemi fragilissimi come l’Artico e anche il nostro Mediterraneo sempre più assediato dalle trivelle.

La nuova direttiva, infatti, obbliga le compagnie petrolifere a garantire adeguati piani di emergenza nel caso di fuoriuscite di petrolio in condizioni difficili, come prolungata assenza di luce, ghiaccio o mare agitato, ovvero quando le procedure standard non possono essere utilizzate.

I Paesi Ue avranno due anni per recepire le regole relative ai nuovi impianti, mentre per quelli già operativi gli anni di tempo a disposizione sono cinque. Troppi. Soprattutto la direttiva è ancora debole e potrebbero esserci delle discrepanze nel modo in cui i diversi Paesi Ue implementeranno il loro regime di sicurezza. Altro limite è che i danni causati dalle perdite di petrolio alla comunità dei pescatori e al turismo locale non sono inclusi nella direttiva.

Ora i leader europei dovranno impegnarsi a recepire la direttiva europea nella maniera più “rigida” possibile e a lavorare per porre un bando alle trivellazioni offshore nelle acque artiche, dove un sistema di sicurezza in grado di contenere una fuoriuscita di petrolio non esiste.

Il Mediterraneo, invece, secondo il nostro Ministero dello Sviluppo Economico (Mise) non è soggetto a “condizioni estreme”. Forse non sanno che nel dicembre 2011 onde alte dieci metri hanno causato la dispersione in mare di circa duecento fusti di rifiuti tossici al largo della Gorgona, nell’Arcipelago Toscano. E forse non sanno che il Canale di Sicilia, minacciato da decine di richieste di trivellazioni, ha una fama peggiore dell’Alto Tirreno presso marinai e pescatori.

Deve essere per questo – perché problemi non ce ne sono – che l’Italia non ha ancora recepito il Protocollo offshore della Convenzione di Barcellona. Il protocollo ci vincolerebbe all’uso delle migliori pratiche possibili ma nei fatti avviene molto raramente. Tanto il mare da noi è sempre bello…

Sappiamo tutti che il petrolio sta finendo. Potremmo imparare a farne a meno (ad esempio rendendo i nostri trasporti sempre più efficienti) e, invece, le multinazionali petrolifere stanno provando ad aprire nuove frontiere dell’oro nero. Le stime sono che il petrolio dell’Artico equivale a un potenziale di 90 miliardi di barili di petrolio: un sacco di soldi per Shell, ENI e altre compagnie, ma solo tre anni di consumi petroliferi per il pianeta. Lo stesso per le trivellazioni offshore nel nostro Paese: tutto il petrolio che potremmo ricavarne non basterebbe all’Italia per due mesi. Ne vale la pena? Noi pensiamo di no: non possiamo lasciare che ciò accada!

www.SaveTheArctic.org

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