Per quelli che nello sport cercano metafore della vita, la promozione in Serie A del piccolo Sassuolo è un segno di speranza. Falliti tre match point (Modena, Padova, Lanciano) per centrare la massima serie, il passaggio di categoria per l’undici di Eusebio Di Francesco è arrivato all’ultimo minuto dell’ultima giornata di serie B con un gol di Missiroli.

Il giocattolo da ricchi che diventa una cosa seria e, forse, profittevole. La sfida dell’economia reale – perché niente è più reale di una piastrella – al grande calcio dei bilanci gonfiati, dei rentier dissipatori come i Moratti o dei poteri costituiti, come gli Agnelli e Silvio Berlusconi.

Dietro il Sassuolo c’è la Mapei, dietro la bergamasca Mapei Giorgio Squinzi, il presidente di Confindustria. E dietro ancora un distretto industriale,quello della ceramica (e nello specifico della piastrella) che riassume virtù e limiti del capitalismo all’italiana.

L’ultimo bilancio del Sassuolo disponibile, quello 2011, chiarisce che la squadra è un’emanazione diretta del colosso della chimica Mapei, che ne controlla il 95 per cento del capitale.

Su 20 milioni di ricavi, 14,2 arrivano dalle sponsorizzazioni (cioè sempre dalla Mapei) che si accolla anche le fideiussioni per la campagna acquisti dei calciatori. Nel bilancio 2011 figurano già le operazioni che hanno portato in provincia di Modena alcuni dei giocatori determinanti per la promozione in A, dal difensore Lino Marzoratti al centrocampista Tommaso Bianchi all’ala Gianluca Sansone. Totale: 3,3 milioni di euro. Cifre sopportabili per una società come la Mapei, che nel 2011 aveva un fatturato consolidato di 2,1 miliardi di euro.

“Non rinnoveremo i contratti in scadenza più onerosi e venderemo i pezzi pregiati della squadra. Questo è il primo passo verso l’abbandono: l’entusiasmo è passato. Anche perché è difficile rimanere in un ambiente nel quale è chiaro che fare risultati basandosi solo sul puro merito sportivo non è una priorità”, diceva Squinzi nel giugno 2012. Ma era soltanto la rabbia per l’eliminazione della squadra dai play off, complici alcuni errori arbitrali.

Squinzi ha tenuto e ora il Sassuolo è considerato una variabile cruciale dell’economia modenese, non come la Ferrari ma quasi: è cominciata una guerra politica su dove giocherà le partite in casa l’anno prossimo. Il Braglia, storico stadio di Modena ammodernato qualche anno fa per una rapida comparsata in A della squadra locale, ha solo 21 mila posti. Ed è considerato troppo piccolo per la massima serie. E quindi circola l’idea di giocare la prossima stagione al Giglio, stadio reggiano commisurato alle ambizioni di una Reggiana che negli anni Novanta si considerava grande (circa 30 mila posti a sedere).

Il consigliere regionale della Lega Nord, Mauro Manfredini sostiene che “la squadra è corteggiata da Prodi, originario di Scandiano, che avrebbe fatto pressing anche sul patron del team Giorgio Squinzi”. E c’è chi giura che una promozione del sindaco reggiano Graziano Delrio a ministro avrebbe come primo risultato il trasferimento del Sassuolo a Reggio. Duelli di campanile che rivelano però anche il ruolo di talismano che il Sassuolo calcio ha per il suo territorio.

Nel 2009 settore della ceramica, quello che regge l’economia sassolese, è crollato del 28,21 per cento, al termine di un decennio di lento declino. Nella zona di Modena e Reggio Emilia gli occupati nel settore sono calati dai 21 mila del 1998 ai 16 mila del 2010, i metri quadri prodotti sono scesi dal picco di 638 mila del 2001 ai 387 mila. In parte perché la produzione è andata all’estero, in parte per la concorrenza internazionale. Ma il capitalismo emiliano è resiliente, come dicono gli economisti, capace di superare i traumi.

Scrive l’economista Franco Mosconi in Le metamorfosi del modello emiliano (Il Mulino) che “oggigiorno la crescita interna dell’impresa (via nuovi investimenti) così come quelle che possiamo definire forme ibride di crescita (Ati, Reti) non bastano più”. C’è la globalizzazione.

E la storia della Marazzi, l’azienda simbolo del distretto sassolese, lo dimostra: nel novembre scorso muore, a 63 Piero Marazzi, il presidente ed erede della dinastia. Pare una morte simbolica, la fine di una storia. Invece poche settimane dopo l’azienda viene rilevata dal gruppo americano Mohawk per 1,5 miliardi di dollari, operazione completata due settimane fa. E l’amministratore delegato Mauro Vandini ha detto che “l’avvento degli americani di Mohawk potrà garantire alla Marazzi un’opportunità di stabilità e solidità per il futuro”. Se la ripresa italiana arriverà mai, dicono nel 2014, assomiglierà un po’ alla promozione in A del Sassuolo.

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