Prima di parlare del “caso Stamina” e del decreto chiarificatore ormai in approvazione al Senato, vorrei dire che da oltre mezzo secolo la nozione di “cura” nella nostra società è cambiata diventando il mezzo per “poter essere” e quindi per “rimediare” a qualsiasi forma relativa di finitudine e di decadimento. Il “poter essere” dipende dalla cura che l’uomo ha di se stesso, cioè dall’uso proattivo e rivendicativo che egli fa della medicina quando è ammalato. Non è un caso se oggi aumentano i conflitti legali tra cittadini e medici. Se i cittadini, specie se vittime di certe malattie rare o di malattie croniche, diventano veri co-terapeuti, se non ricercatori, e se i cittadini in generale sono sempre più insofferenti nei confronti del proceduralismo scientifico cioè se le loro tragedie si scontrano contro i tempi e i metodi della scienza.

Il caso Di Bella ieri e Stamina oggi, sono l’espressione di inediti conflitti tra società e scienza che probabilmente sono destinati a crescere nel tempo. Entrambi i casi sono: terapie alternative a quelle scientificamente ammesse, cocktail a dosaggi variabili scarsamente verificabili, fenomeni mediatici strumentalizzati dalla politica, oggetto di conflitti tra magistratura e medicina, ecc. Entrambi si rifanno a malattie molto gravi, anche se con una incidenza epidemiologica diversa, con una forte implicazione morale esposte a un forte rischio di speculazione. Il caso Di Bella costituisce una delle pagine più nere della medicina contemporanea. Nel 1999 ci obbligò a una sperimentazione che ne sancì l’inefficacia terapeutica sospendendo per molti malati il trattamento chemioterapico ma compromettendo fatalmente l’esito delle loro curve di sopravvivenza.

Oggi abbiamo il caso Stamina pieno di ambiguità e di forzature nel quale le “verità di fatto” dei malati diventano antagoniste delle “verità di ragione” degli scienziati. C’è chi dice che il trattamento non sperimentato funziona e chi dice che in base alle conoscenze disponibili il trattamento non può funzionare. La cosa drammatica è che questo contrasto scienza/società se non governato finisce per deflagrare diventando un fenomeno mediatico. Nel caso Stamina, come per il caso Di Bella, il sistema sanitario-autorizzativo pubblico è andato in tilt: autorizzazioni contro-autorizzazioni, famiglie incastrate tra magistrati e ospedali, decreti e ministri discutibili, e il tempo che nella coscienza dei malati scorre come “sprecato”… poi “l’effetto Celentano” il classico “deus ex machina”, che fa trovare le soluzioni che sembravano non esserci cioè quelle legate al buon senso quindi alle visione non burocratiche del mondo.

Oggi dopo una dolorosa corsa a ostacoli siamo al decreto che corregge il decreto, cioè il Senato, dopo la ribellione degli scienziati, corregge la Camera, permettendo la continuazione dei trattamenti terapeutici e avviando la sperimentazione. Credo che davanti a certe malattie, tanto la politica che la scienza, devono darsi una regolata. Si tratta di capire che la disperazione ha dei diritti in più, cioè delle priorità ma che per questo va protetta dalle false speranze con opportune regole. Mi sembra che sia l’agenzia per il farmaco sia il centro nazionale trapianti abbiano chiarito le regole da rispettare. Ora si tratterà di confrontare le “verità di fatto” che riguardano i malati con le “verità di ragione” delle regole scientifiche. “Stamina” si inquadra in quel genere di casi che i filosofi chiamano “gappy” cioè verità “non designate” sulle quali non abbiamo informazioni sufficienti per stabilire se sono vere o false. Verità gappy e disperazione umana fanno una miscela esplosiva. Le verità gappy non sono ricusabili a priori ma debbono essere verificate perché da esse potrebbero nascere altre verità o essere smascherate come non verità.

Gli scientisti pretendono che le loro verità siano sempre vere in qualsiasi circostanza empirica, ma fuori dai laboratori esiste un’altra complessità. I patrocinatori del metodo Stamina ritengono che il loro metodo sia una specie di panacea. Se non si dispone di prove a favore di una certa tesi non si può concludere come fanno alcuni scientisti che la tesi è falsa tout court, o dedurne un meccanico principio precauzionale di pericolosità, ma nello stesso tempo senza prove non si può dire che una tesi sia vera; per negare una tesi non si può screditare chi la propone, anche se ha dubbia credibilità morale, bisogna confutare la tesi indipendentemente da chi la propone quindi sperimentare; è normale che si tenda a fidarci dell’autorità scientifica ma in linea teorica anch’essa ha dei limiti di conoscenze per cui esiste la possibilità che la scienza sbagli. Insomma se disperazione umana, scientismo e opportunismo politico sono inconciliabili è meglio lasciare a casa i dogmatismi, i pregiudizi, le riserve mentali e andare in chiaro.

La versione in discussione al Senato sembrerebbe un buon “compromesso”, anche se “Stamina” continua a dire dei “no”. Probabilmente la storia è destinata ad andare avanti. Io spero che il metodo funzioni se no “amen”.

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