Quello che il primo ministro britannico David Cameron non ha ancora avuto il coraggio di fare, lo ha fatto un parlamentare pressoché sconosciuto, il più giovane deputato conservatore del Regno Unito. Così James Wharton, 29 anni, è riuscito a far passare la sua proposta di un referendum, da tenersi entro il 2017, sull’appartenenza del regno della regina Elisabetta all’Unione europea.

Questione delicata, che da mesi divide la coalizione di governo fra conservatori, più euroscettici e liberaldemocratici, decisi europeisti, in un Regno Unito che appare sempre più stufo delle imposizioni che arrivano da Bruxelles, delle leggi sull’immigrazione che lo costringeranno ad accogliere dal 2014 rumeni e bulgari in quantità, altra questione controversa e altamente infiammabile. Per non parlare dell’unione bancaria di cui si sta discutendo in questi giorni nelle sfere dell’alta finanza e della politica e che potrebbe porre un freno alla libertà della City di Londra. Così ora Wharton, riuscendo a imporsi su altri colleghi in un contest annuale in cui molti deputati fanno proposte a titolo personale per nuove leggi, fa passare il suo piano per un referendum “in or out”, dentro o fuori, che ora dovrà essere messo ai voti di Westminster, e cioè del parlamento britannico.

La domanda del referendum proposta dal conservatore 29enne è semplice: “Pensi che il Regno Unito dovrebbe continuare a essere un membro dell’Unione europea?”. E ora Wharton dice: “Il referendum potrebbe passare, basta il voto di una parte degli altri partiti”. Intanto il primo ministro Cameron coglie la palla al balzo, fa suo un risultato al quale ha contribuito solo in parte e sfida il vice primo ministro Nick Clegg, liberaldemocratico e il leader dell’opposizione, il laburista Ed Miliband, invitandoli a supportare il processo verso il referendum.

“Sostenetelo, altrimenti verrete accusati di negare ai britannici la libertà su importanti decisioni come quella dell’appartenenza all’Unione europea”, ha fatto sapere Cameron a giro stampa. Ma il Labour, ultimamente, è molto più possibilista, dopo mesi di contrarietà alla sola idea del referendum. Nel 2015 ci saranno le elezioni parlamentari. Ancora non si sa chi andrà al governo, è troppo presto per sondaggi significativi, ma nel caso in cui il Labour dovesse vincere e sostituire il governo di coalizione, dicono ora analisti e commentatori, anche Miliband non potrebbe far altro che far sua la battaglia per dare ai sudditi della regina la libera scelta sull’Ue. L’idea di staccarsi da Bruxelles, insomma, non è più un tabù a Londra e dintorni. E le recenti vittorie alle elezioni locali dell’Ukip, partito fortemente antieuropeista che sta tallonando sempre più con veemenza il partito conservatore sui suoi stessi temi, stanno facendo spostare l’ago della bilancia verso la voglia di dire “addio” a Bruxelles e a Strasburgo.

Giovedì i 140 caratteri più twittati dai parlamentari conservatori era “Dio deve proprio essere euroscettico”. Se non fosse arrivato lo sconosciuto Wharton con la sua proposta, il tema del referendum sarebbe sicuramente stato posticipato di qualche mese, nonostante la rivolta di molti parlamentari che, nei giorni scorsi, hanno criticato la mancanza di ogni riferimento alla consultazione referendaria nel Queen’s Speech, il discorso che si tiene ogni maggio in cui il governo detta le linee programmatiche per l’anno successivo.

Così Wharton è riuscito in quello che altri non erano riusciti a fare: dare una spinta a Cameron e al suo antieuropeismo camuffato e ammorbidito dalla sua immagine di leader dialogante con presidenti e primi ministri molto più europeisti di lui. Leader di un Paese, il Regno Unito, comunque importantissimo per l’Unione europea. Soprattutto in termini di contributi economici alla tenuta del recinto comunitario, contributo contro il quale giornali e tabloid si schierano un giorno sì e l’altro pure. E la rabbia dei britannici contro Bruxelles cresce di conseguenza.

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