L’Artico è la nuova frontiera. Oltre a essere un ecosistema fragile, qui si dovrebbe trovare il 30 per cento delle riserve di gas naturale non ancora scoperto. Inoltre, a causa dello scioglimento dei ghiacci, presto sarà la nuova riserva di pesca del mondo e di qui passerà la nuova rotta commerciale tra Atlantico settentrionale e Pacifico. Un passaggio in grado di dimezzare le distanze tra Cina e Europa.

Ma le sue acque sono ancora terra di nessuno. Ecco perché fa gola a molti, su tutti la Cina che ieri – dopo due tentativi andati a vuoto – è stata finalmente ammessa come osservatore al Consiglio Artico assieme a India, Italia, Giappone, Singapore e Corea del Sud.

Il Consiglio Artico, che era nato nel 1996 per regolare il rapporto tra gli Stati e le popolazioni indigene dell’area, ha improvvisamente acquistato una diversa importanza nello scacchiere mondiale e la tutela dei suoi abitanti è passata decisamente in secondo piano rispetto alla prospettiva di una spartizione delle sue risorse.

La Cina, dopo aver corteggiato tutti gli otto paesi che si affacciano sulla regione polare e che fanno parte del Consiglio (Canada, Russia, Norvegia, Danimarca, Islanda, Usa, Svezia e Finlandia) è stata ammessa nonostante la ritrosia di Stati Uniti e Canada. Adesso è dentro e nel 2015 parteciperà alla prossima riunione. La sua posizione, per bocca di un ammiraglio in pensione, è che “l’Artico appartiene al mondo e nessuna nazione ne può avere sovranità”. Ma nel frattempo una delle prime navi a esplorare il futuro passaggio a nordovest si chiama Xuelong, il dragone di neve. Ed è, ovviamente, cinese.

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