Milioni di dollari, movimentati tra l’Italia, la Francia, la Svizzera e la Repubblica Ceca; lingotti d’oro provenienti dal Ghana; franchi svizzeri che viaggiavano in valigette di oscura provenienza. E’ una centrale di riciclaggio su larga scala quella sgominata questa mattina dagli ufficiali della guardia di finanza a Palermo. Una rete internazionale efficientissima per riciclare denaro di oscura provenienza, creata ad hoc da un personaggio già ampiamente noto alle cronache giudiziarie: Gianni Lapis, l’ex tributarista di Vito Ciancimino, condannato in via definitiva per aver riciclato una fetta importante dei beni riconducibili all’ex sindaco del capoluogo siciliano.

E proprio Lapis si sarebbe specializzato negli anni nel riciclaggio di denaro, mettendo su una rete capillare per rimettere in circolo denaro proveniente da tangenti pagate a politici negli anni ’80. Questa mattina la procura di Palermo ha ordinato l’arresto di 34 persone: 22 sono finite in carcere, mentre 12 agli arresti domiciliari. Costituivano la rete infallibile di Lapis, pure lui finito in manette. Ma gli uomini del riciclaggio non erano soltanto oscuri faccendieri o intermediari: nella rete dei finanzieri è finito anche un giudice del Tar del Lazio, Franco Angelo Maria De Bernardi. Il magistrato è accusato di aver gestito lo scambio di enormi quantità di denaro, direttamente dal suo ufficio del tribunale amministrativo regionale. L’organizzazione infatti puntava a “ripulire” decine di milioni di dollari, bloccati da anni perché provenienti da maxi tangenti risalenti al periodo della Prima Repubblica. I dollari venivano quindi cambiati con altra valuta straniera, ma nel cambio veniva applicato uno sconto del 15 per cento. In pratica 60 milioni di dollari “sporchi” venivano scambiati con 45 milioni puliti. Una vera e propria centrale dello scambio di valuta, alla quale due anni fa riesce ad accedere anche un oscuro faccendiere poco noto nell’ambiente: a lui Lapis proporrà un affare da dieci milioni di dollari. Solo che quell’oscuro faccendiere è in realtà un agente infiltrato della polizia valutaria, che aggancia volontariamente Lapis e i suoi uomini. E’ lui l’uomo che da solo consente alla procura di Palermo di smantellare la centrale di riciclaggio. La prima fase dell’operazione, all’epoca guidata dall’ex procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e dai pm Lia Sava e Dario Scaletta, era già scattata nel dicembre del 2011, quando in manette finì lo stesso Lapis insieme ad altri cinque complici. Oggi la seconda fase porta all’arresto di altri insospettabili colletti bianchi.

Oltre a De Bernardi, nell’operazione è finito anche Leonardo Di Giovanna, funzionario del Settore Beni e Servizi della Regione Sicilia. Il dipendente regionale, che è finito agli arresti domiciliari, è accusato di aver fatto da intermediario per un altro “settore” coperto dall’organizzazione di Lapis: quello dei lingotti d’oro. Di Giovanna infatti è accusato di aver trattato l’arrivo in Italia di circa duecento chili d’oro provenienti addirittura dall’Africa, e più precisamente dal Ghana. Oltre allo scambio di dollari con franchi svizzeri, la rete provvedeva dunque anche ad investire il denaro in lingotti d’oro. La regola era sempre la stessa: un risparmio per gli investitori del 15 per cento, e una provvigione per l’organizzazione che si attestava tra il 5 e il 10 per cento. Una macchina studiata nei dettagli da Lapis, che gli inquirenti definiscono “la mente del gruppo criminale”, e che era attiva chissà da quanto tempo nell’ambito del riciclaggio di denaro su larga scala. L’ex avvocato di Vito Ciancimino però è stato alla fine incastrato da quel mega affare da dieci milioni proposto dall’infiltrato della polizia valutaria.

Il 5 ottobre del 2011 Lapis era stato condannato dalla corte di Cassazione a due anni e 8 mesi per intestazione fittizia di beni, nel processo sul tesoro di Massimo Ciancimino. Nei primi anni duemila era stato Lapis a trattare la vendita della Gas spa, la società energetica creata negli anni ’80 da Vito Ciancimino e Bernardo Provenzano, agli spagnoli di Endesa. Un mega affare da sessanta milioni di euro, che Lapis avrebbe cercato di finalizzare anche corrompendo alcuni politici. L’avvocato era infatti finito in un’altra indagine della procura di Palermo, in cui era accusato di aver versato tangenti all’ex ministro Saverio Romano e all’ex senatore Carlo Vizzini. Quell’inchiesta è oggi quasi tutta archiviata, nel frattempo però gli inquirenti hanno scoperto che le attività illecite di Lapis non si sarebbero in realtà mai fermate. Adesso le indagini della magistratura si stanno concentrando per focalizzare soprattutto un punto: l’esatta provenienza di quelle maxi tangenti versate a politici della prima Repubblica ed evidentemente sfuggite al tornado di Tangentopoli.

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