Meno 5,2 per cento rispetto all’anno scorso. E’ un bilancio disastroso quello della produzione industriale in Italia, i cui dati – riferiti al raffronto tra marzo 2013 e lo stesso mese del 2012 – configurano un crollo verticale. La conferma è arrivata direttamente dall’Eurostat, che senza mezzi termini sottolinea come quello italiano sia il peggior dato tra le grandi economie continentali, anch’esse in difficoltà. La produzione industriale tedesca, ad esempio, è calata di 1,5 punti percentuali, mentre la Francia ha fatto segnare un ribasso dell’-1,6%. Nell’insieme dell’Eurozona, il calo è stato dell’1,7% (-1,1% nella Ue a 27). In totale controtendenza, invece, l’Olanda (+11,1%) e i paesi baltici. Il trend negativo dell’economia industriale made in Italy, inoltre, è testimoniata anche dai dati mensili riferiti a marzo: in tal senso, la produzione nell’Eurozona a marzo ha fatto segnare un balzo (+1,0%) rispetto a febbraio, mentre nella Ue a 27 è cresciuta dello 0,9%. Aumenti oltre la media per Germania (+1,7%), Spagna (+2,1%), Finlandia (+3,8%), Olanda (+4,5%) e Portogallo (+5,3%), Lussemburgo (+4%), Estonia e Malta (+3,9%), a cui fanno da contraltare l’Italia (-0,8%) e la Francia (-0,9%), oltre a  Slovenia (-2,9%), Bulgaria (-2,3%) e Irlanda (-2,2%).

Nell’Eurozona in dodici mesi è aumentata solo la produzione di energia (+9,2%), mentre sono calate quelle di beni intermedi (-4,6%), di beni di consumo tanto durevoli (-2,2%) quanto non durevoli (-3,1%) e di beni di investimento (-3,1%). Secondo Eurostat, l’indice della produzione industriale italiana corretta dalle variazioni stagionali (fatta base 100 nel 2010) a marzo scorso è stato pari a 91,3 (92,0 a febbraio 2013). In Germania è a 105,6, in Francia è a 97,1. Nell’Eurozona il valore di marzo è 100,1. Prendendo in considerazione l’insieme della Ue a 27, presentano valori superiori a 100, praticamente tutti i paesi dell’Est e del Nord Europa nonché Malta: Austria (105,8) Bulgaria (103,0), Repubblica Ceca (104,0), Danimarca (101,0), Estonia (125,3), Germania (105,6), Lettonia (111,3), Lituania (117,5), Malta (106,9), Polonia (107,7), Romania (115,0), Slovacchia (115,5), Svezia (103,0) e Ungheria (103,2).

Quello della produzione industriale, tuttavia, non è l’unico parametro a non far dormire sonni tranquilli al governo Letta. Già ad inizio marzo, del resto, era emerso con chiarezza il tonfo del mercato immobiliare della casa, con oltre 150 mila compravendite in meno rispetto al 2011. Si tratta, secondo il rapporto immobiliare 2013 di Abi e Agenzia delle Entrate presentato oggi a Roma, del peggior risultato dal 1985 quando le abitazioni comprate e vendute erano state circa 430 mila. Nel 2012, si è avuta una riduzione del 27,5% rispetto al 2011 per i volumi di compravendite delle case (a 448.364 numero di transazioni), con un calo inferiore per i capoluoghi (-24,8%), e maggiore nei comuni non capoluogo (-26,1%). A livello territoriale l’area del nord-est, dove si realizza il 18,3% del mercato nazionale, è quella che ha subito il calo più elevato delle compravendite nel 2012 rispetto al 2011 (-28,3%).

Sempre lo scorso anno sono state vendute case per un totale di circa 46,4 milioni di metri quadri (-25,4% sul 2011), con una superficie media di circa 104 mq. Da segnalare è anche la forte diminuzione del valore di scambio complessivo, stimato in circa 75,4 miliardi di euro, quasi 27 in meno del 2011. Nelle otto principali città italiane (Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna, Firenze) il calo delle compravendite è stato del 22,4% con un valore di scambio stimato di circa 19,5 miliardi di euro, ovvero 5,7 in meno rispetto al 2011. Tiene invece l’indice di accessibilità che misura la possibilità di accesso alle famiglie italiane all’acquisto di una abitazione. Dopo un anno e mezzo di calo, nel secondo semestre 2012 è migliorato con la quota di famiglie che dispone di un reddito sufficiente a coprire almeno il 30% del costo annuo del mutuo per l’acquisto di una casa di poco superiore al 50% come per il primo semestre 2010 (13 milioni di famiglie circa).

Articolo Precedente

Bankitalia: “A marzo il debito pubblico segna un nuovo record a 2034,7 miliardi”

next
Articolo Successivo

Tasse: gli esattori moderni inquisitori

next