Quote rosa e arte, a voler semplificare. O tentativo di risposta all’annosa questione se esista una creatività di genere, che differenzia, quando non separa, il maschile dal femminile. E ancora un modo di indagare la differenza, attraverso una ricognizione sulla vitalità dell’arte contemporanea, nella consapevolezza che le connotazioni di genere siano un elemento non marginale nella formazione delle dinamiche sociali e simboliche. “Autoritratti. Iscrizioni del femminile nell’arte italiana contemporanea è la collettiva che il Museo d’arte moderna di Bologna Mambo espone fino al 1 settembre 2013, dedicata ai rapporti fra donne e arte in Italia negli ultimi decenni. Non una celebrazione del genio femminile ma una mostra che si propone di indagare come le nozioni di desiderio e cura siano orizzonti determinanti dell’attività politica, e come la dimensione estetica diventi elemento connettivo fra teoria e pratica, cultura e politica.

Sono 42 le artiste (più un artista uomo) chiamate dallo staff – quasi tutto al femminile – del Museo d’arte moderna di Bologna a realizzare opere riferite a diversi nuclei tematici elaborati da da Emanuela De Cecco, Laura Iamurri, Arabella Natalini, Francesca Pasini, Maria Antonietta Trasforini e da un gruppo di lavoro interno al museo coordinato da Uliana Zanetti.

“Autoritratti” nasce dal lavoro di riflessione critica sul rapporto tra arte e politica che il Museo sta perseguendo da diverso tempo. La riflessione sul rapporto tra donne e arte affonda le sue radici nell’ambito metodologico del femminismo: il titolo stesso della mostra è un riferimento diretto a una delle figure di primo piano del femminismo militante italiano, la critica d’arte Carla Lonzi e al suo libro di interviste, “Autoritratto”, del 1969.

La mostra si articola in diverse sezioni tematiche:A più voci”, a cura della critica d’arte Francesca Pasini, si propone di riflettere proprio sull’assenza, nel nostro Paese, di un’arte esplicitamente femminista (le grandi artiste che avrebbero potuto essere punti di riferimento e madri simboliche, come Carla Accardi, scelsero di allontanarsene), e sulla resistenza, peculiarmente italiana, di una tradizione che identifica nella dominante maschile l’eccellenza dell’arte. “(M)others”, a cura di Arabella Natalini, indaga invece il rapporto con la figura materna, che è al contempo generatrice, colei che lascia un’indelebile impronta ereditaria, e “Other”, altro da noi. In “Assassine”, lavoro del 2001 di Liliana Moro per la prima volta in Italia, raccoglie le confessioni di quattro donne criminali, lette dall’artista e diffuse da altoparlanti: storie lontane dagli stereotipi della femminilità accogliente e madre, che travolgono il visitatore con la loro terribilità.

“Autoritratti” propone un omaggio all’artista sarda Maria Lai, scomparsa lo scorso 16 aprile mentre la mostra era in corso di allestimento. Le sue tele cucite, simbolo archetipico della femminilità dal mito in poi,  raccontano come i fili, le trame, la stoffa cucita spesso in forma di libro, siano metafora di relazione, rapporto, connessione, uniscano memoria, favola, fantasia.

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