L’Italia e la Spagna non brillano nella difesa dei territori dall’assalto del cemento.

L’oro grigio ha saputo divorare scenari collinari, paesaggi urbani, centri storici e litorali di quello che un tempo poteva chiamarsi Belpaese. Lente ed inesauribili colate di calcestruzzo hanno deformato territori, uniformato colori, sbiadito identità diverse.

Negli ultimi decenni, proprio quando in Italia si è registrato un decremento costante della popolazione, il paese ha perduto tre milioni di ettari di suolo, per un terzo agricolo. Dati impietosi, oggetto di una dettagliata e cruda analisi di Luca Martinelli nel saggio «Salviamo il paesaggio» (ed. Altreconomia, 2012).

La Spagna non è messa meglio. Basta percorrere qualche chilometro a sud di Benidorm per capire che il cemento è stato per decenni il motore dell’economia.

Con i grattacieli che si stagliano tra imprecisi agglomerati urbani a rappresentare plasticamente un degrado culturale che oggi sembra riproporsi: entrerà in vigore nei prossimi giorni la “Ley de Costas”, (Legge delle coste) la riforma del demanio marittimo voluta dal Partido Popular del premier Rajoy.

Una rivisitazione dei criteri fissati nella vecchia disciplina sulle coste – la legge numero 22 del 1988 – realizzerà due obiettivi: condonare gli abusi edilizi sulle fasce demaniali, favorire nuovi interventi speculativi lungo i litorali.

Migliaia di capannoni industriali e circa 125.000 unità immobiliari edificate in aree demaniali beneficeranno del condono e saranno pronte per nuovi progetti e nuove volumetrie.

Il litorale, insomma, visto come uno spazio economico, un luogo per dare impulso a più incisivi sfruttamenti.

La riforma prevede che la fascia demaniale si ridurrà, passando dai 100 ai 20 metri, con i “proprietari” dei terreni minacciati dall’erosione costiera che potranno costruire, raccolti i necessari permessi, opere a difesa.

La durata delle concessioni demaniali, finora fissata in 30 anni, passerà a 75 anni, con possibilità – prima non consentite – di trasferimento della concessione, anche in via successoria, per tutta la sua durata.

Non sono mancate critiche delle organizzazioni ambientaliste.

Scenografiche quelle di Greenpeace, con otto attivisti arrestati nei giorni scorsi – e poi rilasciati – per aver occupato il tetto del Congresso madrileno srotolando sulla facciata del Palazzo uno striscione con lo slogan “il Partido Popular vende le nostre coste”.

Analitiche quelle di “Ecologistas en acción” (Ecologisti in azione) che in articolati dossier ha denunciato la cementificazione in atto sulle coste spagnole, già sotto la vigenza della legge del 1988, ben più restrittiva della recente riforma di Mariano Rajoy.

Sembra non ci sia più posto per il demanio marittimo. Sembra che lo spazio vada lasciato alla privatizzazione. Con l’ocra della sabbia che assume sfumature di grigio, il colore della speculazione.

Il partito del cemento vince sempre, anche al tempo della crisi.

In Spagna come in Italia.

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