Gli elettori siciliani, un tempo suoi instancabili sostenitori, lo hanno ormai “posato”. Più volte. Lontani i fasti dei primi club di Forza Italia, della super vittoria delle elezioni politiche del 2001 con 61 collegi siciliani su 61 conquistati dal centrodestra, dello sconosciuto Diego Cammarata promosso sul campo sindaco di Palermo per dieci, lunghissimi e tragici anni. Gianfranco Miccichè sembrava finito, svanito, evaporato. Straperse le amministrative nella sua città, Palermo, straperse le elezioni regionali, dove ha preso addirittura meno voti del grillino Cancelleri nella corsa a governatore, straperse anche le ultime politiche con Grande Sud che raggranella lo 0,3 per cento tenendolo fuori da Palazzo Madama. 

E invece l’ex viceré di Sicilia, il luogotenente di B, l’amico fraterno di Marcello Dell’Utri è tornato: sottosegretario alla pubblica amministrazione del governo più democristiano della democristianissima Storia d’Italia. Voluto, anzi imposto da B. in persona, nonostante i pur inguaribili elettori siciliani abbiano dimostrato di avere preferenze diverse. Ma tant’è. Adesso Miccichè dovrà lavorare con un altro siciliano, Gianpiero D’Alia, lui sì democristiano dell’Udc, titolare del dicastero. Una situazione bizzarra dato che se a Roma il ministro D’Alia e il sottosegretario Miccichè dovranno lavorare d’amore e d’accordo, a Palermo i rispettivi partiti sono da tempo schierati su fronti opposti. Punti di vista geografici evidentemente. Bazzecole. Perché adesso c’è da far funzionare la pubblica amministrazione. Di più: in ballo c’è anche la semplificazione.

Un concetto che il buon Gianfranco aveva provato a chiarire già qualche anno fa. Ricordate? L’allora ministro dei Trasporti Lunardi aveva detto che “con mafia e camorra bisogna convivere”. Immediata la difesa d’ufficio di Miccichè: “Se per fare gli appalti dovessimo aspettare che finisca la criminalità mafiosa allora non partiremmo mai”. Chapeau. Qualche tempo dopo altro scivolone: “Falcone-Borsellino, che immagine negativa trasmettiamo subito col nome dell’aeroporto”. Travolto dalle polemiche il neo sottosegretario ritirò la frase

Ma pochi mesi fa ritirò il ritiro. “Continuo ad essere convinto che intitolare l’aeroporto di Palermo a Falcone e Borsellino, significa che ci si ricorda della mafia. L’aeroporto di Palermo lo intitolerei ad Archimede o ad altre figure della scienza, figure positive”. Come dire che per Miccichè, Falcone e Borsellino non sono certo figure positive. Ma d’altra parte, in questo nuovo Governo, qualcuno convinto che il povero Vittorio Mangano fosse un eroe ci sarà senz’altro. Basta cercare. Sono queste le larghe intese. O no?

Articolo Precedente

Il 2 giugno facciamo sfilare chi rappresenta davvero la Repubblica

next
Articolo Successivo

M5S, Becchi: “Chiedo comprensione. Sono finito nel tritacarne mediatico”

next