Trentacinque anni fa il boss di Cinisi Tano Badalamenti e il suo vice Vito Palazzolo ordinarono ai loro sicari di uccidere il giovane militante di Democrazia Proletaria Peppino Impastato la notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978. Così ha stabilito una sentenza del tribunale di Palermo, giunta ben ventiquattro anni dopo quella tragica notte. Ma quello che nessuno ha ancora affermato con certezza è perché, fin dalle ore successive al delitto, i magistrati e le forze dell’ordine allora in servizio spostarono le indagini sulla falsa pista del suicidio, messo in atto da un comunista che voleva passare allo storia con un gesto terroristico eclatante. Tra i protagonisti di quel depistaggio, come descritto da una relazione della commissione parlamentare antimafia approvata nel 2000, spicca il nome dell’ex generale dei Carabinieri Antonio Subranni, oggi imputato nel processo sulla trattativa Stato mafia con l’accusa di attentato a corpo politico dello Stato   di Silvia Bellotti

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