Adesso, magari, succederà qualcosa di buono. Che, di peggio di quanto è già accaduto, è pure difficile. La stampa estera continua ad apparire un po’ frastornata, in questa vicenda del nostro nuovo Presidente. Ma –ammettiamolo!- non è che noi abbiamo proprio tutto chiaro: Bersani che passa settimane a non volere fare il governo con Berlusconi e poi gli affida la scelta di un candidato comune in una rosa per lui tutta senza spine, di amici suoi; Grillo che passa settimane a non volere fare accordi con Bersani e poi gli consegna su un vassoio un candidato che è stato presidente e più volte deputato del suo partito (di Bersani); la coalizione di Bersani che implode davanti al candidato scelto da Berlusconi –Marini- e al rifiuto di quello offerto da Grillo -Rodotà-. I Grandi Elettori affossano l’inciucio e bollano l’insipienza dei leader, ma alimentano pure la confusione.

Ammettiamolo: se succedesse altrove, penseremmo che sono tutti fuori di testa. E, così, chi ci guarda da lontano si rifugia in predicozzi, come faceva oggi il Financial Times, che, in un editoriale dal titolo Voto chiave a Roma, auspicava un presidente della Repubblica “forte e credibile, in Italia e all’estero”. Il giornale della City non faceva nomi, ma non pareva avere in mente una figura come Marini, quando avvertiva che la scelta del nuovo presidente “definirà il futuro politico dell’Italia”: se a vincere sarà una figura autorevole, ma vecchio stile, l’attesa di cambiamento testimoniata dall’esito delle elezioni di febbraio non troverà riscontro.

All’FT, come a tutti i media stranieri, tocca spiegare ai lettori che il Presidente, in Italia, conta magari poco, sulla carta, cioè a termini di Costituzione, ma che il settennato di Giorgio Napolitano ha modificato la situazione: durante il suo mandato, si legge, “il presidente è diventato un attore chiave della politica”, perché ha spesso dovuto “riempire il pericoloso vuoto di potere derivante dalla debolezza dei partiti” e sopperire alla mancanza di credibilità della leadership (quando questa era affidata a Berlusconi).

E, allora, il Financial Times si aspetta un presidente che abbia la ‘credibilità internazionale’ di cui gode quello attuale: “Gli alleati dell’Italia devono sapere che a Roma c’è qualcuno di cui ci si può fidare. Un presidente –interpreto io- che sappia d’Europa. In tutti i sensi. Che abbia “un profumo d’Europa”: che conosca l’Unione, le sue regole e i suoi meccanismi; che abbia la visione dell’integrazione, meglio se in una prospettiva federale; che sia stimato dai partner europei -oltre che transatlantici- per quello che ha fatto e per come l’ha fatto.

Sono elementi dell’identikit del nuovo presidente della Repubblica italiana, partendo dalla convinzione, che è un dato di fatto, della centralità della questione europea per il prossimo governo e per la prossima legislatura – questa, se avrà vita propria, o la prossima, se questa si ridurrà solo ad una falsa partenza-. Essere stato, come Marini, deputato europeo può essere un ori, ma non è certo un sette bello.

L’inciucio fallito ha probabilmente bruciato, con Marini, gli altri petali della rosa offerta a Mr. B; e, forse, ha pure danneggiato Rodotà. Ma non ha toccato Romano Prodi ed Emma Bonino, che hanno esperienze europee -sono stati l’uno presidente della Commissione e l’altra commissaria-, che non hanno mai abiurato la scelta dell’integrazione -Prodi portò l’Italia nell’euro, la Bonino ha una radicata visione federalista- , che godono di rispetto e di stima in Europa (e si sono fatti pure rispettare e stimare in America).

E pazienza se, su di loro, non ci sarà una larga intesa. Chi mai l’ha scritto?, ‘sto elogio tutto italico del compromesso ad ogni costo. Scegliere è meglio che impapocchiare. E capita pure di scegliere bene.

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