La decisione della Corte di Cassazione che ha annullato la doppia assoluzione di Alberto Stasi dall’accusa di omicidio della fidanzata Chiara Poggi, a Garlasco, nell’agosto del 2007 è un fatto giudiziario certamente clamoroso.

Forse più per gli operatori del diritto che per l’opinione pubblica, quest’ultima da sempre divisa sulla responsabilità del giovane, influenzati dal fatto che gli investigatori non abbiano mai ipotizzato piste alternative, seriamente fondate su dati oggettivi. Nonostante questo ultimo elemento, che può essere emotivamente decisivo per le riflessione di chi non è avvezzo alle regole di diritto, ma indubbiamente non può rappresentare una ragione legittima per insistere sulla medesima persona, è possibile svolgere delle ipotesi (le certezze le avremo solamente quando sarà depositata la sentenza della Cassazione) su quale sia stato il percorso motivazionale della Corte.

Una premessa va fatta: la modificazione di giudizio, dopo una “doppia conforme”, cioè dopo due decisioni di merito in direzione univoca (la non responsabilità, nel caso di specie) è quasi un unico giurisprudenziale; tutto questo perché la Cassazione si deve fermare dinnanzi alle valutazioni di merito sulla prova e le considerazioni della Corte di legittimità attengono solamente alla logica interna della decisione ed all’assenza di violazioni processuali. Per questo, tra gli addetti ai lavori, anche i più dubbiosi sull’innocenza di Alberto Stasi propendevano per l’assoluzione e ciò proprio perché, a stretto diritto, si riteneva che oramai i “giochi giuridici” fossero conclusi e la motivazione dei due giudizi precedenti fosse, nel complesso, adeguata.

Debbo dire che dopo la recente decisione su Amanda Knox e Raffaele Sollecito ho ritenuto di esprimere un giudizio più possibilista circa la possibile riapertura anche di questo caso e questo perché in entrambi i percorsi processuali (tutti e due assolutori) ho avuto l’impressione che il giudice di merito avesse fatto un uso non del tutto corretto degli elementi di prova, in specie quelli ritenuti tecnici e scientifici.

Un cenno a questi argomenti nel processo contro Stasi: il giudice di primo grado ha escluso la responsabilità dell’imputato sulla base di due esperimenti giudiziali afferenti: il primo, la durata della commissione dell’omicidio e la sua compatibilità con i movimenti dell’imputato in quella tragica mattina, ed il secondo circa la possibilità/impossibilità per Stasi medesimo di attraversare il soggiorno di casa Poggi, affacciarsi alla scala della cantina e vedere il corpo inerte della fidanzata, senza sporcarsi le scarpe di sangue o di altri residui biologici, ampiamente presenti sul pavimento dell’abitazione della vittima.

Le conclusione degli esperimenti sono state sostanzialmente sfavorevoli per l’imputato ma il giudice di primo grado ha interpretato il mezzo probatorio in modo parzialmente difforme con il suo effettivo risultato, con ciò ponendo una questione di logicità interna alla decisione. Ma, specialmente, ciò che deve aver maggiormente colpito la Cassazione, è il fatto che il giudice di Appello abbia respinto le due principali istanze probatorie supplementari, consistenti: la prima nell’esame genetico di un capello biondo trovato tra le dita della vittima; la seconda: nel non aver accettato di svolgere un accertamento tecnico che svelasse se il racconto di Stasi era affidabile laddove l’imputato ha sostenuto di aver visto il viso tumefatto di Chiara, senza aver disceso i primi due gradini della scala che portano al luogo del ritrovamento del corpo.

Ed ancora: nei pressi del luogo ove l’assassino si sarebbe ripulito dal sangue della vittima (il lavandino del bagno a piano terreno della villetta Poggi) sono state rinvenute due impronte digitali riferibili all’imputato. Costui si è sempre difeso asserendo che la sua frequentazione assidua della casa avrebbe portato “naturalmente” a “perdere” materiale genetico. E’ una considerazione di buon senso che però collide con la ricostruzione della polizia scientifica che ha rinvenuto elementi biologici riferibili a Stasi solamente sul predetto portasapone e sui cartoni della pizza consumata la sera precedente. Poco, troppo poco, per non ritenere l’assenza di impronte, ad eccezione di quelle citate, come un dato decisivo nella ricostruzione logico-temporale delle vicissitudini di quella giornata.

Certamente il nuovo processo d’appello sarà complesso e combattuto; decisive saranno le indicazioni date dalla Cassazione su quale dovrà essere il “devoluto” del nuovo giudizio; certamente, anche dopo i fatti giudiziari di Amanda Knox, torna d’attualità il tema della legittimità dell’impugnazione delle sentenze di assoluzione. Tema risolto negativamente in tutti i modelli processuali assimilabili al nostro. 

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