L’Attentatuni di Capaci ha un prequel, un prologo che arriva dal mare di Porticello, piccolo centro marinaro a pochi chilometri da Palermo. È qui che Cosimo D’Amato, fino a pochi mesi fa conosciuto da tutti soltanto come un pescatore di pesce, s’improvvisò pescatore di bombe, diventando di fatto fornitore di morte per conto di Cosa Nostra.

C’è una fase preparatoria inedita e fino a oggi segreta dietro il maxi botto che il 23 maggio del 1992 squarciò l’asfalto dell’autostrada A29, uccidendo Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, più tre ragazzi della scorta lanciati a centinaia di metri di distanza dalla deflagrazione. A organizzare quella strage non furono soltanto gli uomini di Giovanni Brusca, tutti ormai condannati all’ergastolo. Per fare fuori Falcone, Riina aveva attivato anche gli uomini di Brancaccio, che si adoperano per recuperare altri quantitativi di esplosivo. Lo svincolo di Capaci non era stato imbottito soltanto dal tritolo utilizzato nelle cave e recuperato da Brusca, ma anche da un altro tipo di esplosivo: è quello contenuto nelle bombe sganciate sui fondali del golfo palermitano ai tempi della seconda guerra mondiale. A recuperare quegli ordigni inabissati era stato proprio il pescatore D’Amato, che poi le aveva “girate” agli artificieri di Cosa Nostra.

A svelare l’ultimo tassello sulla strage di Capaci è stato proprio uno dei padrini che in quei mesi del 1992 collabora attivamente alla strage. Il racconto di Gaspare Spatuzza, ex pupillo dei fratelli Graviano e da qualche anno collaboratore di giustizia, ha fornito alla procura di Caltanissetta le chiavi per ordinare l’arresto di Salvo Madonia, Giuseppe Barranca, Cristofaro Cannella, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Vittorio Tutino e Lorenzo Tinnirello: tutti già detenuti per altri reati, adesso sono accusati anche di aver collaborato all’esecuzione della strage di Capaci. L’inchiesta della procura guidata da Sergio Lari coinvolge ovviamente anche D’Amato, il pescatore di bombe, che già nei mesi scorsi era stato arrestato dalla procura di Firenze, dopo che lo stesso Spatuzza aveva rivelato il suo coinvolgimento nelle stragi di Firenze, Roma e Milano del 1993.

La collaborazione tra il pescatore di morte e Cosa Nostra però inizia precedentemente, ovvero circa un mese e mezzo prima della strage di Capaci. È da lì che comincia il racconto di Spatuzza. “Fifetto Cannella mi chiese di procurargli una macchina voluminosa, per recuperare delle cose. Ci recammo pertanto con la macchina di mio fratello nella piazza Sant’Erasmo di Palermo, dove incontrammo Peppe Barranca e Cosimo Lo Nigro. Ci recammo quindi a Porticello, dove trovammo un certo Cosimo, e insieme a lui salimmo su una specie di peschereccio, da dove recuperammo dei cilindri delle dimensioni di 50 centimetri per un metro legati con delle funi ai bordi della barca. Al loro interno vi erano delle bombe”. Sono proprio gli ordigni che negli anni ’40, in piena seconda guerra mondiale, vengono sganciate su Palermo. Spesso però la mira dei piloti di guerra non era precisa e le bombe si inabissavano nel profondo del golfo palermitano. È da lì che, anni dopo, il pescatore D’Amato le recupera con le sue reti e le consegna agli uomini di Cosa Nostra.

“Con quest’ultima indagine riteniamo di aver fatto una ricostruzione completa della fase organizzativa della strage del 23 maggio 1992”, ha detto il procuratore Lari, commentando l’operazione che di fatto completa l’elenco dei carnefici di Falcone. In vent’anni di processi sulla strage di Capaci mai nessuno aveva fatto cenno a questo secondo gruppo di morte, che dopo aver recuperato l’esplosivo dal fondo del mare, lo aveva lavorato per renderlo adatto al nuovo scopo: non più una guerra mondiale, ma l’aggressione a suon di bombe di Cosa Nostra allo Stato.

@pipitone87

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