E’ sempre più drammatica la situazione nel carcere di Guantanamo. I soldati Usa sono entrati nelle ultime ore negli spazi comuni del Campo 6, dove da settimane decine di detenuti sono in sciopero della fame. Hanno sparato “quattro proiettili non mortali”, secondo la descrizione offerta dalle autorità militari, e quindi sgomberato l’area. I detenuti sono stati condotti nelle rispettive celle, in stato di isolamento, e  gli spazi comuni sono stati chiusi sino a nuovo ordine. Le autorità di Guantanamo hanno giustificato il raid, che avrebbe fatto almeno un ferito, con la necessità di vigilare sui detenuti in sciopero della fame. Questi avrebbero infatti nelle ultime settimane coperto telecamere e finestre del Campo 6, sottraendosi al controllo delle guardie.

Se la speranza di Obama e della sua amministrazione era far dimenticare all’America e al mondo la situazione di Guantanamo, le ultime vicende sembrano aver fatto tramontare ormai definitivamente quella speranza. La settimana scorsa l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Navy Pillay, aveva definito il carcere “una chiara violazione del diritto internazionale” e invitato gli Stati Uniti a rispettare “le leggi internazionali e gli standard legali”. Un’ispezione della Croce Rossa Internazionale, conclusa sabato 13 aprile, ha evidenziato elementi “di preoccupazione”, tanto da rendere necessario un ritorno dei medici della Croce Rossa nel carcere nelle prossime settimane. Soprattutto, non è dato prevedere quando cesserà lo sciopero della fame di decine di prigionieri: 43, secondo le autorità della prigione; molti di più, sino a 130, sui 166 detenuti che ancora si trovano a Guantanamo, secondo gli avvocati dei detenuti stessi.

Le ragioni del clamoroso sciopero collettivo sono state spiegate nei giorni scorsi da Jason Wright, uno degli avvocati d’ufficio assegnati ai detenuti. Wright parla di “condizioni di vita terribili”, anche nel Campo 6, con celle ghiacciate e accesso alle aree di ricreazione negato ai detenuti. Negli ultimi tempi ci sarebbe stata anche una stretta da parte delle guardie carcerarie, con frequenti perquisizioni alla ricerca di oggetti di contrabbando. Durante queste perquisizioni, secondo Wright, sarebbero state “profanate copie del Corano”, dove gli agenti pensavano di trovare materiale di contrabbando. “Ma i musulmani non nasconderebbero mai nulla nel Libro Sacro”, ha spiegato Wright.

Un’altra ragione della protesta starebbe nella decisione delle autorità della prigione di negare acqua in bottiglia ad alcuni detenuti per almeno tre giorni. I detenuti, tra cui Musaab al-Madhwani, cittadino yemenita, sarebbero stati invitati a bere l’acqua del rubinetto dei bagni, notoriamente non potabile. Alle condizioni di vita precarie, si aggiunge il senso di frustrazione per una detenzione indefinita, spesso senza che sia stata formalizzata alcuna accusa. Una task-force del Dipartimento alla Sicurezza Nazionale ha da tempo chiesto il trasferimento e la liberazione per decine di detenuti, che restano però ancora in carcere.

Le autorità americane hanno sinora respinto le accuse relative alle condizioni di vita a Guantanamo. Robert Durand, direttore dei Public Affairs della prigione, ha detto che lo sciopero della fame cerca di guadagnare ai detenuti simpatia e appoggi internazionali, aggiungendo che “i detenuti del Campo 6 vivono in un ambiente comunitario. Non sono chiusi nelle loro celle la notte. Hanno la TV satellitare, videogames, lettori Dvd e la stampa internazionale”. Secondo Durand, “gran parte delle perquisizioni del Corano” non sono state condotte dalla guardie carcerarie, ma affidate agli interpreti, che sono sempre musulmani. Da parte sua la Casa Bianca ha spiegato di “monitorare da vicino la situazione”, senza aggiungere altro.

Il caso Guantanamo resta comunque estremamente spinoso per l’amministrazione. Uno dei primi atti da presidente di Obama, nel 2008, fu la promessa chiusura di Guantanamo, che però non è mai arrivata per la riluttanza del Congresso a spostare sul suolo americano decine di prigionieri accusati di terrorismo. Molti di questi, accusati di nulla, non possono neppure essere rimandati nei Paesi d’origine, per timore che vi subiscano torture e maltrattamenti. Il “carcere della vergogna” è quindi rimasto un imbarazzo e un peso politico per Barack Obama, obiettivo delle critiche sia dei gruppi per i diritti umani sia dei repubblicani, che lo considerano troppo “debole” sulla questione del terrorismo.

La speranza di Obama e della autorità militari di Guantanamo, a questo punto, è che lo sgombero degli spazi comuni e l’isolamento dei prigionieri in celle singole fiacchi la loro resistenza e li spinga ad accettare il cibo. Anche perché, a dispetto delle condanne internazionali e delle sempre più drammatiche condizioni di vita e tensioni interne, Guantanamo non è destinato a chiudere nel breve periodo. Il Pentagono ha autorizzato alcuni giorni fa lo stanziamento di 49 milioni di dollari in nuovi fondi per costruire un altro edificio detentivo sull’isola. Dovrà ospitare 106 prigionieri, anche se il numero non è ancora certo. Una delle ragioni per continuare a versare denaro pubblico in una struttura che il presidente degli Stati Uniti aveva detto di voler chiudere 5 anni fa sembrano essere soprattutto le aziende private che hanno in carico gran parte dei servizi della prigione: sorveglianza, manutenzione, edilizia, forniture alimentari, sanitarie e di abbigliamento. Per questo mondo di “private contractors” la chiusura di Gitmo significherebbe la chiusura di sostanziosi contratti con il governo federale.

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