Salone del mobile

“Design. Progettare oggetti quotidiani”: la concretezza tra Vespe e iPhone

Nel libro pubblicato da "Il Mulino" l'autore Alberto Bassi, docente allo Iuav di Venezia, spiega: "Il modello del consumo usa e getta sta dentro un’idea di società capitalistica finanziaria ormai agonizzante". Tra le inclinazioni da combattere c'è l'omologazione, ovvero "l’uso di linguaggi sempre uguali"

di Elisabetta Ambrosi

Dalla moka Bialetti all’ultimo iPhone: è grazie a questi oggetti quotidiani che nelle nostre vite passano, magari inavvertitamente, nuovi modi di usare e il corpo e nuovi stili di pensiero. Altro che il prodotto bizzarro, griffatissimo e inutilmente costoso. Il “vero” design ha a che fare più con l’esistenza, che con l’estetica: parola di Alberto Bassi, storico del design e docente allo Iuav di Venezia, e autore per del libro Design. Progettare oggetti quotidiani (Il Mulino). Se per lungo tempo si è pensato al design immaginando il pezzo unico firmato e senza scopo apparente (“Si capisce che è una sedia?”. “No”. “Allora è design”, secondo la celebre imitazione di Maurizio Crozza-Massimiliano Fuksas), la colpa sta soprattutto in una tendenza alla virtualizzazione: non solo di questa disciplina, che fa da interfaccia tra il mondo delle cose e quello delle persone, ma di tutto il sistema economico. Una tendenza che, per fortuna è sempre più in declino.

La copertina dell'ultimo libro di Alberto Bassi

“Il modello del consumo usa e getta, del prodotto che si butta ogni sei mesi, sta dentro un’idea di società capitalistica finanziaria ormai agonizzante – spiega Bassi. – Fortunatamente quell’idea di prodotto non è più l’unica, anzi, altri modelli sono possibili”. Opposta e speculare a quella dell’inarrivabile pezzo unico, c’è per un’altra inclinazione da combattere: quella verso l’omologazione, l’uso di linguaggi sempre uguali. “Una strada che purtroppo – prosegue l’autore – è stata battuta in questi anni da molte aziende che hanno fatto solo artigianato meccanizzato. Si sono accontentate di spazi di mercato già esistenti, limitandosi a investire risorse su comunicazione e pubblicità anziché sulla ricerca”.

Oggi le sfide del design (disciplina che qualcuno ha definito “pipistrello, metà topo e metà uccello”) sono due: da un lato, ragionare intorno a prodotti e servizi che rendano la progettazione compatibile ed ecosostenibile, fornendo al tempo stesso qualità a un maggior numero di persone. Dall’altra, pensare a oggetti che possano essere usati da tutti: ad esempio i disabili, ma anche, più banalmente, i mancini. “Altro che crisi –  osserva Bassi – Ci sono tantissime nicchie di mercato da esplorare”. Con una certezza: il futuro oggi appartiene “ai brand legati a idee forti, che in nome di quell’idea fanno passare una logica non comune”. Diversa, sorprendente, e insieme democratica, come fu il caso della mitica Vespa.

E poi c’è un fronte nuovo, nato dal binomio tra design, rete e nuovi media. Qui il potenziale rivoluzionario è enorme, grazie alle nuove tecnologie che consentono a chi possiede semplicemente un computer e una stampante in 3d di progettare e produrre prodotti senza passare per la fabbrica, distribuendoli attraverso la rete. Sono i nuovi makers, un fenomeno tutt’altro che marginale. Queste nuove start up del design, infatti, sono in grado di mettere in circolo prodotti innovativi e conquistare nicchie di mercato. E rappresentano l’ultima frontiera per gettare un ponte da un lato tra design e artigianato, dall’altro tra progetto e mercato. “Da questo punto di vista siamo in un periodo stimolante, dove nessuno potrà ingannare il consumatore. Vinceranno sempre di più prodotti al tempo stesso fortemente identitari e responsabili. Insomma – conclude Bassi – è una fase entusiasmante, che ci fa sperare nella rifondazione di una nuova società”.

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