Per parlare di prossimità e accoglienza, vi propongo una testimonianza che mi è capitata tra le mani. È di Aldo, un volontario dell’Associazione La Carovana.

La prossimità è un intervento di sostegno familiare che promuove forme di vicinanza tra famiglie. Una famiglia o una singola persona mette a disposizione alcune ore del proprio tempo per aiutare minori e genitori che – pur essendo presenti da un punto di vista affettivo ed educativo – sono in temporanea difficoltà nella cura quotidiana dei propri figli. Alle famiglie e alle singole persone che si propongono per la prossimità, la Cooperativa Comin e l’Associazione La Carovana offrono percorsi di formazione, l’affiancamento di un educatore professionale, il supporto di una rete di famiglie che vivono la stessa esperienza.

“Un anno e mezzo fa, dopo aver partecipato a un percorso formativo sui temi dell’affido e dell’accoglienza, mi è stato proposto di iniziare un sostegno familiare. In pratica, oggi ‘accompagno’ un minore arrivato due anni fa dallo Sri Lanka e ‘sostengo’ la sua famiglia. Lo faccio perché considero la prossimità un sorta di impegno civile, che può generare una forma di convivenza che oggi rischiamo di perdere del tutto.

Oggi, se non hai terminato la scuola, non parli l’italiano, hai lasciato i tuoi amici nel paese d’origine e hai bisogno di un lavoro per dare una mano ai tuoi, ma soprattutto sei privo di reti sociali, sei fragile. Perché la povertà relazionale, unita a quella sociale ed economica, ti rende più vulnerabile. E allora, i volontari diventano facilitatori in grado di attivare connessioni che servono a evitare a famiglie e minori in difficoltà di vivere continuamente esposti ai colpi del destino. Attivare reti e connettere le persone vuol dire concretamente rintracciare le risorse presenti nel quartiere: la scuola, le istituzioni, l’oratorio, le associazioni e far sentire le persone che cercano la propria autonomia meno sole.

Le reti si attivano sul territorio ed è per questo, forse, che il paragone con la lilla (per i non milanesi la linea 5 della metropolitana) mi sembra calzante per raccontarvi il senso che c’è dietro l’esperienza che sto vivendo. La lilla oggi non fa ancora la differenza nella rete dei trasporti urbani. Collega – riducendo di poco i tempi – quel tratto che da viale Zara va verso nord e che è già servito dalla rete tranviaria. Ma qualche vantaggio – forse nemmeno marginale! – qualcuno, lo avrà già riscontrato, dato che i nuovi treni automatici permettono di raggiungere, più agevolmente e più velocemente che in superficie, l’Ospedale Ca’ Granda e l’Università Bicocca. Tra qualche tempo, la lilla potrebbe rappresentare una svolta per le migliaia di pendolari che da Bignami vorranno raggiungere lo stadio di San Siro o una delle diciassette fermate intermedie.

Sulla mappa della rete metropolitana di Milano, le fermate della lilla già fruibili sono contrassegnate con dei pallini – anch’essi di colore lilla – uniti da una linea retta dello stesso colore. Oltre Zara invece (capolinea temporaneo) e fino a San Siro la retta diventa tratteggiata, ad indicare – una volta finito il cantiere – quella che sarà la linea completa.

La lilla, a ben pensare, oggi è ancora un cantiere, ma già una micro rete. L’esperienza di prossimità per me è esattamente questo. Come tutti i cantieri, anche questo aperto per realizzare una comunità sociale più coesa e matura è un percorso che presenta ostacoli e zone inaccessibili. E per muoversi al suo interno occorrono abilità (che si acquisisce con la pratica, con gli incontri di supervisione e il supporto del partner educativo) e cautela (che deriva dal considerare l’altro con la sua storia e i suoi limiti). Questo cantiere avanza man mano che i volontari e le famiglie più fragili attivano, insieme, nuove reti informali di prossimità. È difficile immaginare quale sarà il tempo di realizzazione di questo cantiere. Sicuramente, possiamo dire che come nel caso della lilla, prima di arrivare da Bignami a San Siro ci si dovrà accontentare di percorre la micro tratta Zara – Bignami. I due capolinea o le fermate intermedie, oggi non raggiungibili, rappresentano la naturale tensione verso un desiderio. Desiderio che per il volontario mosso da un impegno civile vuol dire coltivare l’attesa. In fondo, ogni famiglia che sceglie di essere prossima a un’altra famiglia sa che l’apertura della prossima fermata – quella rappresentata dal raggiungimento dell’autonomia della famiglia ‘più fragile’ – potrà anche essere vicina, ma il capolinea – il percorso che ci consegnerà una comunità sociale più coesa e matura – non si farà in un giorno. Come in un giorno non fu edificata Roma.

Per me, vivere l’esperienza di prossimità, vuol dire sentire la responsabilità della paternità o della maternità anche verso i figli che non abbiamo concepito. Immaginare cioè che la nostra casa e la nostra famiglia non sono solo il tetto sotto il quale abitiamo e cresciamo i nostri bambini, ma il quartiere e la città con i suoi legami interrotti. Le esperienze di prossimità in corso, e le tante nuove che spero si attiveranno, rappresentano tentativi seri di quelle fratture che non sono solo ferite per chi è direttamente coinvolto, ma per chiunque senta il bisogno e la responsabilità di accompagnare chi cerca qualcuno su cui fare affidamento.

La prossimità è un’esperienza che, se condivisa da tanti, può contaminare positivamente le nostre città. Le singole persone e le famiglie che hanno scelto una forma di accoglienza contribuiscono a rafforzare la membrana della convivenza diventata sottilissima. Per questo spero che testimoniare questo tipo di scelta sia un modo per promuovere la cultura dell’accoglienza e diffonderla.

Mi vengono in mente due titoli che consiglierei a chi è interessato al tema del vivere con l’altro. Sono: ‘La ferita dell’altro’ di Luigino Bruni e ‘Incerti legami’ di Ivo Lizzola”. 

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