Vi racconto una storia sorprendente della Russia di oggi, quella di Alexey Navalny, avvocato,‘eroe’ anti-corruzione della blogsfera russa.

A partire dal 2008 attraverso il suo blog denuncia gli scandali di una intera classe politica. Alla fine del 2010 lancia RosPil, una piattaforma web che raccoglie l’indignazione popolare, la consolida e la organizza, concretizzandola in azioni di monitoraggio, denuncia e divulgazione del malaffare.

Nel 2011 attraverso la rete mobilita in ‘crowdsourcing’ un esercito di osservatori incaricati di vigilare sulla trasparenza sugli appalti e sulle operazioni di voto, esorta gli elettori a non votare United Russia – il partito di Putin che non esita a definire una “cricca di ladri e truffatori” – e fonda la Good Machine Truth con l’obiettivo di estendere il suo messaggio anti-establishment al maggior numero possibile di cittadini.

Ottiene molti successi nella lotta anticorruzione, anche su scala locale, bloccando numerosissimi ‘appalti truffa’ grazie alle decine di migliaia di segnalazioni ‘crowdsourcing’ da parte dei cittadini e sfruttando al meglio leggi e regolamenti comunque vincolanti anche per la PA Russa.

Tutto questo è avvenuto senza rappresentanze tradizionali (partiti, sindacati) ed a basso costo: come si spiega? Cosa lo ha permesso? Che portata avrà?

Le chiavi di lettura ci sono fornite Clay Shirky in un opera del 2008 divenuta ormai un cult, in cui si analizza l’azione collettiva alla luce del potere fornito dai nuovi tools 2.0 in particolare i ‘wiki’ e quelli forniti dai social media e le piattaforme ‘Crowd’. 

La tesi dell’autore, ampiamente documentata, è che i social abbassano drasticamente i costi dell’organizzazione di iniziative collettive e che queste possano oggi nascere e svilupparsi in modo virale senza un ‘management’costoso ed intermediario. Un management che dati i costi, difficilmente si sarebbe potuto prendere carico delle iniziative.

Anche per questo motivo i nuovi strumenti hanno così aperto sempre più le porte, negli ultimi dieci anni, a fenomeni auto organizzativi che definiamo di ‘Cittadinanza Attiva 2.0’.

In ‘Social Innovation e Social Business’ abbiamo ampiamente approfondito i processi di disintermediazione sociale che i nuovi strumenti possono portare con loro in tutti gli ambiti della nostra vita: dall’organizzazione dei viaggi al reperimento di risorse finanziare (es. il microcredito in crowdfunding con piattaforme come Kiva.org): ciò vale anche per la sfera politica– ampiamente visto con il fenomeno ‘5 Stelle’ o le elezioni di Obama già nel 2008- e varrà sempre di più per tutte le ‘rappresentanze’ al di la di tutti i tentativi di ‘resistenza’ più o meno corporativi o giustificati che siano.

Controllo ed influenzamento ‘2.0’ si estenderanno quindi sempre più anche alla sfera amministrativa, che fino ad oggi in molti dei suoi territori ha fatto di opacità e di mancanza di responsabilità un meccanismo di potere dai confini dubbi al punto da dovere essere considerata in molti casi ‘nemica’ dai cittadini e da chi progetta lo sviluppo?

‘La PA italiana è ostica al cambiamento’ , si obietta giustamente da più parti. Stavolta ci muoviamo con l’ottimismo della Ragione, immaginando un ritorno non tropo lontano alla radice etimologica di ‘Ad’ ‘Ministrare’ , dove ‘ministrare’ vuol dire servire, curare (il bene comune)!  Accanto agli amministratori responsabili e innovativi che pensiamo possano fare la differenza, riteniamo che a breve sarà impossibile fare ‘amministrazione’ nei modi del passato.

Se questo vale per la Russia di Putin, forse abbiamo speranze che valga anche in Italia.

Altrimenti, non ci resterà che chiamare Alexey. Voi che ne pensate?

Si ringrazia Laura Taraborrelli di ASVI Social Change per il supporto 

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