L’11 agosto 2012 ad Affile è stato inaugurato un “sacrario” militare al gerarca fascista Rodolfo Graziani, costruito con un finanziamento di 130mila euro erogati dalla Regione Lazio. Si avvicina il 25 aprile e mi domando che significato abbia ormai questa data.

Durante la “riconquista” della Libia e la repressione della rivolta anti-colonialista (guidata da Omar al-Mukhtār -poi condannato a morte – di cui Gheddafi portò la foto appuntata al petto in occasione della sua prima visita in Italia, nel 2009), Graziani venne ribattezzato “Il macellaio di Fezzan”. Deportò e segregò in campi di concentramento -dove morirono a decine di migliaia – centinaia di migliaia di appartenenti alle tribù nomadi della Cirenaica, ritenuti potenzialmente fiancheggiatori degli insorti. Dal 1935 al 1936 comandò le operazioni militari contro l’Abissinia. Prese a pretesto l’uccisione del pilota Tito Minniti da parte del nemico per l’utilizzo di 125 bombe all’iprite: tali ordigni, vietati dalla convenzione di Ginevra del 1925, secondo le sue dichiarazioni dimostrarono “quanto sia efficace l’impiego dei gas”.

Nominato viceré d’Etiopia, istituì campi di prigionia ed eresse forche pubbliche. Molti militari italiani si fecero ritrarre accanto ai cadaveri penzolanti o alle teste mozzate.

Nel ‘37 ad Addis Abeba durante una cerimonia per la nascita di Vittorio Emanuele di Savoia, scoppiarono nove bombe. Il rastrellamento e la rappresaglia che seguirono all’attentato, causarono almeno  4.000 morti. Non contento, Graziani ordinò ai soldati italiani di compiere un’incursione nel famoso monastero etiope di Debrà Libanòs, del cui clero copto si ventilò un ruolo ispiratore: vennero massacrati dai 1400 ai 2000 giovanissimi monaci e suore. La ciliegina sulla torta fu il nome di Graziani tra i firmatari del Manifesto della razza, l’anno successivo.

Nel ‘48, l’imperatore d’Etiopia Hailè Selassié, presentò la propria documentazione alla Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra affinché Rodolfo Graziani fosse inserito nella lista dei criminali di guerra. La Commissione inserì Graziani nella lista per l’uso di gas tossici e per i bombardamenti degli ospedali della Croce Rossa, ma non lo processò mai. Il 2 maggio 1950 il tribunale militare speciale di Roma condannò Graziani per collaborazionismo a 19 anni di reclusione, dei quali però scontò solo quattro mesi.

Adesso Igiaba Scego, scrittrice nata in Italia da genitori somali ha rivolto su Change.org un appello a Zingaretti: no al monumento per ricordare un criminale di guerra fascista, stragista del colonialismo #25aprile. E così la nipote di un interprete somalo, il quale suo malgrado tradusse per Graziani, rende questa storica data italiana un’occasione di rivendicazione personale e collettiva più attuale che mai.

Il sacrario a Graziani ha tra l’altro suscitato scalpore a livello internazionale, facendo indignare anche New York Times e Bbc.

Con la rivendicazione di una donna “di seconda generazione”, il 25 aprile riacquista per me un senso nuovo e il fascismo si rivela ancor più  una triste storia che travalica i confini nazionali. In un vecchio post raccontai la storia di Samia e Abu; nella storia di chi è costretto a scappare oggi c’è anche la traccia dei tanti Graziani. Ricordiamocelo e smettiamola di innalzare monumenti a chi di violenza e sopruso fece una bandiera.

 

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