La Francia doveva raggiungere alla fine di quest’anno l’obiettivo del 3% del deficit pubblico sul Pil, il Prodotto interno lordo: il mirabolante parametro di Maastricht. Quel traguardo è stato spostato nelle ultime settimane da François Hollande sia di fronte ai propri concittadini che riguardo all’Europa, a fine 2014. E la Francia non può più sgarrare: è ormai, anche lei, paese sorvegliato speciale di Bruxelles. Ebbene, oggi il governatore della Banca centrale francese (Bdf), Christian Noyer, è apparso rassicurante: “E’ un obiettivo alla nostra portata”, per poi precisare che, per centrarlo, lo Stato deve da qui alla fine del 2014 varare ulteriori tagli alla spesa pubblica pari a 40 miliardi. 

Un colpo al cerchio, uno alla botte: l’intervista rilasciata da Noyer alla radio Europe 1 è stata a tratti surreale. “Viste le previsioni del governo sulla nostra economia, al 3% di deficit pubblico sul Pil a fine 2014 possiamo arrivarci”, ha detto. Ma poi, soffermandosi su quelle “previsioni” (secondo il ministro dell’Economia Pierre Moscovici, +0,1% nel 2013 per il Pil e +1,2% per l’anno dopo, una stima quest’ultima considerata da tanti economisti pura illusione), Noyer ha ammesso che anche la Banca centrale “prevede quest’anno una crescita economica praticamente pari a zero”. E tutto questo si traduce nel fatto che “per centrare l’obiettivo del deficit pubblico del 3% sul Pil a fine 2014, bisogna mantenere il livello della spesa pubblica nel 2014 allo stesso del 2012”. In soldoni Noyer ha spiegato: “Vuol dire che da qui alla fine dell’anno prossimo bisogna risparmiare 40 miliardi di euro a livello della spesa pubblica”. E, quindi, che “occorre congelare tutte le pensioni, le prestazioni sociali e gli stipendi dei dipendenti pubblici”. Meno male che l’obiettivo “è a portata di mano”. Al giornalista che lo incalzava, sottolineando che allora la Francia sarà interessata da una fase di austerità, al pari dei Paesi dell’Europa del Sud, Noyer ha risposto impacciato che non è vero perché “l’austerità significherebbe ridurre le pensioni del 10 o del 15%, come hanno fatto certi Paesi europei. E noi questo noi non lo faremo”. 

La situazione della Francia, apparentemente migliore di quella degli altri Stati (o almeno intermedia fra la Germania e il Sud Europa), preoccupa in realtà sempre più. Non siamo ancora alla recessione, come in Italia e Spagna, ma l’economia è ferma, nonostante sia dopata dalla spesa pubblica. E, per di più, deve affrontare gravi problemi strutturali (l’inarrestabile decadenza dell’industria manifatturiera). Il debito pubblico ha da poco superato il 90% del Pil, lontano dal 130% verso il quale si sta avviando l’Italia. Ma l’indebitamento è in Francia molto più rapido che nel nostro Paese, a causa di un deficit pubblico più alto, la vera spina nel fianco di Parigi. Quello era ancora a quota 4,8% a fine 2012 (contro il 3% per l’Italia). Hollande aveva previsto di rientrare nei ranghi a fine 2013, ma le ultime stime indicano invece a quella scadenza un 3,7% (2,9% per l’Italia) e il 3% per la Francia, lo abbiamo visto, arriverà solo alla fine dell’anno prossimo. Nonostante tutto questo, comunque, ancora oggi i rendimenti degli Oat (i titoli di Stato francesi, equivalenti dei nostri Btp) a dieci anni oscillavano intorno all’1,8%, vicino ai minimi storici. E se a Roma si esulta perché lo spread Btp-Bund è sceso per la prima volta dall’8 marzo scorso a 300 punti base, il divario fra gli Oat decennali e i corrispettivi bond tedeschi si trova poco sopra i 56 punti. Perché, nonostante tutto i titoli di Stato francesi continuano a riscontrare la fiducia degli investitori internazionali, soprattutto quelli esterni alla zona euro. Forse perché, alla fine, al momento attuale le alternative sono quelle che sono. 

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