Bibliomotocarro
Non soltanto bambini. “Posso prendere questo?”. “Quale?”. “Questo qui: Baudelaire”. È un ragazzo di 25 anni con la sigaretta in bocca, quello che s’allontana con il libro in mano, che torna a chiacchierare con i suoi amici della pompa di benzina di Ferrandina, dove il maestro Antonio La Cava ha parcheggiato il suo “bibliomotocarro”: un’Ape celeste, con tetto a tegole e comignolo fumante, collegato al tubo di scappamento. I lati sono due vetrine, due scaffali con un centinaio di libri, molti già scritti, altri tutti da scrivere, come vedremo. Maestro elementare in pensione da due anni, classe 1945, Antonio lesse il suo primo libro, da ragazzino, prendendolo da un camion allestito dal provveditorato agli studi di Matera: “Era Fontamara, di Ignazio Silone, il mio primo libro l’ho incontrato così, forse è per questo che porto i libri in giro con la mia Ape. Ho scelto di farla somigliare a una casa. Mi spiego meglio: la scuola – secondo me – è la principale responsabile della disaffezione alla lettura. Al di là dell’apprendimento tecnico, sin da quando ero bambino, mi sono reso conto che a scuola raramente s’insegna il piacere della lettura, della comprensione vera e propria di un libro. Dovrebbe essere la casa, il luogo ideale per amare i libri, così ho pensato di trasformare quest’ape in una casetta. Il comignolo, collegato al tubo di scappamento, per i bambini ha un effetto straordinario. ‘Maestro – mi ha detto un giorno un bambino – io lo so perché esce il fumo dal comignolo: tu bruci i libri che non ci piacciono’. Ecco: io vivo di queste piccole soddisfazioni”.

E di queste piccole soddisfazioni, questo maestro elementare in pensione, ne ha davvero avute tante. Gli anziani gli chiedono vecchi libri di seconda o terza elementare: “Riprendono a leggere lì dove s’erano fermati con gli studi”. Un tempo lo chiamavano il “maestro che si fa rubare le arance“. Erano gli anni Settanta, Craco era crollata sotto i colpi di una frana, la popolazione s’era trasferita in una tendopoli e Antonio lasciava sempre una cesta di arance in auto. L’auto restava rigorosamente aperta. I bimbi gli chiedevano spesso, troppo spesso, di andare in bagno; e lui sapeva perché: con soddisfazione, trovava sempre la cesta svuotata. “Dieci anni dopo un mio ex alunno è venuto a trovarmi con una cesta: ‘Grazie per quelle arance, queste uova sono per lei'”.

Questa è la scuola per Antonio La Cava. Dieci anni fa iniziò quest’avventura a bordo di un’Ape 50. “Ero così entusiasta che nel 2003 la portai a Torino, al Salone del Libro, caricandola sul camion di mio fratello. Non avevo mai guidato un camion prima d’allora: oltre la strada presi anche parecchi marciapiedi. Poi ebbi un premio dal Ministero: 6.700 euro. Comprai un’Ape più potente. Qui in città, il sabato, ho le mie fermate, scadenzate ora per ora: arrivo, parcheggio, i bimbi si avvicinano e prendono in prestito i libri che desiderano. “Vuoi un libro da leggere? O un libro da scrivere?”. Spesso i bimbi desiderano scrivere. “Ne vuoi uno bianco o uno che è già alla seconda puntata?”.

Mentre sfoglia i libri scritti dai bambini, Antonio si commuove: “Raccontano se stessi“. E aggiunge: “Io mi sento un maestro di strada: la scuola, più va fuori dalla scuola, meglio svolge il suo ruolo. Un esempio: spesso i ragazzini sono annoiati e litigiosi. Dal litigio nasce l’espulsione di qualcuno dal gruppo e un giorno trovo un ragazzino che se ne sta per i fatti suoi. Ha scritto sul muro: ‘fesso chi legge’. Arrivo con il mio “bibliomotocarro”: c’è chi legge per terra, chi sul muretto, ma quel ragazzino non prende il libro: è schiavo della sua scritta: ‘fesso chi legge’. Una bimba gli porta un libro, lui lo sfoglia, sorride e con il gessetto corregge: ‘fesso chi non legge’. Quel libro ha curato il suo disagio”.

Ora Antonio vorrebbe comprare un mini bus e allestire una mini banda musicale. I soldi non sono ancora abbastanza. In compenso, è ricco dei piccoli capolavori firmati dai “suoi” bambini, a volte più brevi di un tweet: “C’era una volta una palla parlante che giocava e scherzava e un giorno trovò una pallina che non parlava. E la palla parlante le chiese: ‘chi sei?’. La pallina non rispose”.

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