Molti commenti ai post precedenti sul reddito di base incondizionato ci chiedono di portare i dati non solo su quanto costa una misura del genere ma anche su quanto lo Stato in modo diretto e in modo indiretto (tramite Inps) già oggi paga per gli attuali ammortizzatori sociali.

Cerchiamo qui di fornire una prima risposta. La prima domanda che ci poniamo è: quali sono i beneficiari dell’attuale struttura di ammortizzatori sociali? Ci riferiamo in particolare alle varie forme di cassa integrazione (ordinaria, straordinaria e in deroga), all’indennità di mobilità e al sussidio di disoccupazione. È necessario prendere atto che, oggi come oggi, essi sono del tutto inadeguati e iniqui.

Ammortizzatori socialiUno studio della Cgil ci mostra che tra chi perde il lavoro solo il 38% riesce ad accedere a qualche ammortizzatore sociale e in modo assolutamente non omogeneo (v. Grafico 1).

Distinguendo tra ammortizzatori sociali, solo circa il 35% di chi è realmente disoccupato possiede i requisiti per accedere al sussidio di disoccupazione: ovvero, avere lavorato 52 settimane negli ultimi due anni e aver pagato i relativi contributi oltre che a presentare una lettera di licenziamento (che, ad esempio, non è possibile per chi è diventato disoccupato causa mancato rinnovo del contratto). Tali parametri sono diventati un lusso che la maggior parte dei lavoratori precari non è in grado di avere.

 

requisiti disoccupazioneL’indennità di mobilità viene invece applicata solo ai lavoratori che escono da una situazione di cassa integrazione. Quest’ultima e il sussidio di disoccupazione, in seguito alla riforma Fornero, verranno inglobati nell’ASpI e nella MiniASpI. L’ASpI è di fatto un’estensione del sussidio di disoccupazione (sempre comunque solo ai lavoratori dipendenti), con parametri di accesso inalterati, al fine di includere anche alcune figure atipiche (come gli apprendisti e i dipendenti delle cooperative).

 

 

 

 

disoccupazione collaboratoriSecondo una proiezione della Banca d’Italia, mentre oggi meno del 40% dei lavoratori è coperto dal sussidio di disoccupazione, con la riforma Fornero questa percentuale potrebbe aumentare del 16%. Resterà comunque fuori più di un terzo dei lavoratori italiani, i più deboli, visto che ASpI e MiniASpI non includono chi ha un contratto di lavoro atipico e parasubordinato. Né la nuova indennità una tantum per i collaboratori coordinati continuativi potrà colmare questa lacuna, dato che i parametri sono talmente stringenti da interessare potenzialmente meno del 10% dei parasubordinati, peraltro con importi pro capite bassissimi – compresi tra 750 e 4.500 euro l’anno.

A sua volta, le diverse forme di cassa integrazione esistenti sono applicate in modo diverso a seconda del settore e della dimensione d’impresa, delle qualifiche, con l’effetto di creare pesanti discriminazioni sul suo utilizzo. Spulciando i dati di bilancio dell’Inps e analizzando i dati di un’elaborazione della Uil, nel 2011 (ultimi dati disponibili) la spesa per gli ammortizzatori sociali ammonta a quasi 17,9 miliardi di euro (i dati in dettaglio nel grafico 4).

spesa ammortizzatoriSulla base di questi dati, analizzando la fonte dell’erogazione, circa 9,3 miliardi di euro, poco più del 50%, sono erogati direttamente dallo Stato, il resto dall’Inps, con fondi derivanti dai contributi sociali e l’utilizzo degli attivi dell’anno precedente (1,7 miliardi di euro nel 2011).

ripartizione spesa ammortizzatoriUltimo dato, altrettanto poco noto: il numero di coloro che, nel 2011, in modo diretto o indiretto e in modo anche temporaneo hanno usufruito dei vari strumenti di sostegno al reddito sono circa 2,8 milioni. Il dato non deve ingannare. Infatti se trasformiamo tali beneficiari in Unità di Lavoro Annuali (ULA) – ovvero nel numero di ore equivalenti ad un’attività lavorativa a tempo pieno e continuativa – ammontano a poco più di un 1 milione di individui.

Complessivamente, nei 6 anni che vanno dal 2006 al 2011, a fronte di una spesa di quasi 80 mld di euro, lo Stato ha integrato circa 30 miliardi euro. Se questa è la situazione, immaginare un unico ammortizzatore sociale a carico della fiscalità generale, uguale per tutte e tutti, che vada progressivamente a sostituire quelli vecchi, sembra ragionevole, anche perché consentirebbe di ridurre quel cuneo fiscale sul lavoro rappresentato dai contributi sociali, a favore di un maggiore salario in busta paga.

Al riguardo il caso francese può essere un esempio interessante. Una relazione dettagliata del dicembre 2011 sui risultati e sui costi della Revenu de solidarité active (Rsa) francese consente di esaminare i costi sostenuti da un Paese considerato simile al nostro per popolazione, tasso di disoccupazione, struttura sociale e tradizioni giuridiche. Introdotto nel 2009, il Rsa spetta a tutti i residenti in Francia da almeno cinque anni, il cui reddito sia inferiore a una certa soglia (per un single è il salario minimo mensile) e la cui età sia compresa tra i 25 anni e l’età pensionabile. Il sussidio è pari a 483 euro per un single senza altri redditi. Nel 2010 i beneficiari del Rsa sono stati circa 4 milioni di individui, di cui il 64% risultava del tutto privo di reddito. La spesa complessiva per il finanziamento del Rsa nel 2010 è stata di 9,8 miliardi di euro.

È una cifra molto simile a quella che l’erario italiano spende attualmente per i suoi ammortizzatori sociali. Ciò significa che abbiamo speso per un sistema iniquo di welfare una cifra che oltralpe ha garantito a tutti i cittadini un programma di protezione universalistico e più equo (come scrive anche Anna Guida in un ottimo articolo su “La Repubblica degli Stagisti”)

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